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L’uomo sconosciuto

Martina pensava che se lui non fosse arrivato sarebbe morta di crepacuore e che se ordinava un’altra Caipiroska sarebbe caduta dallo sgabello. Probabilmente il barista si sarebbe rifiutato di servirgliela. Del resto si vergognava anche a raspare il ghiaccio pestato, succhiando disperatamente dalla cannuccia. Ma ne aveva già bevute tre nel giro di un’ora. E lui non era ancora arrivato.
Le sue amiche si stavano divertendo come pazze sulla pista, ballavano scatenate, ma lei non aveva nessuna voglia di ballare. E poi, con tutto quell’alcol in corpo aveva scarse probabilità di raggiungere la pista tutta intera e in piedi. E lui non arrivava. A dire il vero non sapeva neanche come si chiamava, “lui”.
Si ricordava solo che era bello e disperatamente sexy. E baciava così bene; l’aveva incontrato lì, nello stesso disco-pub la settimana prima. E forse allora lei era ancora più storta di adesso, perché non si ricordava nemmeno bene come si erano guardati e avvicinati. Si ricordava solo del primo bacio che si erano scambiati, così avvolgente da lasciarla stupefatta. E poi le mani di lui, lungo tutto il suo corpo, dapprima appartati contro il muro, in un angolo del locale. Poi lui l’aveva presa per mano e l’aveva portata in bagno.
Martina non ricordava chiaramente questa parte; ricordava solo i baci di lui sul suo collo scoperto, ricordava le sue mani sul suo seno, lungo i suoi fianchi, sotto la sua gonna. Ricordava che non riusciva a resistergli e che lei stessa voleva di più. Era già tutta bagnata. Ricordava di avergli slacciato la cintura, ricordava di aver provato a chinarsi su di lui, per prenderglielo in bocca. E ricordava che lui non gliel’aveva permesso.
L’aveva invece appoggiata delicatamente sul bordo di un lavabo, le aveva aperto le gambe ed era entrato.
Ancora stordita si era ricomposta alla bella meglio ed era uscita.
“Accidenti, Martina, che ci facevi nel bagno degli uomini? Chissà in che situazioni ti vai sempre a cacciare! Andiamo, dai, che è tardi, sono ore che ti cerchiamo!”
Martina era obiettivamente troppo ubriaca per reagire. Altrimenti non si sarebbe fatta trascinare via così senza salutare il ragazzo, senza chiedergli il numero di telefono. Ma se non fosse stata così ubriaca probabilmente non ci sarebbe mai andata con lui ad imboscarsi nei bagni degli uomini. Comunque adesso era lì, nervosa come un canguro, ubriaca fradicia, ad aspettare e sperare che lui tornasse in quel locale per incontrarlo di nuovo. Era pura follia.
Magari non ci sarebbe tornato mai più. Del resto anche lei, prima di incontrare lui, non ci era mai stata. E adesso ci aveva trascinato le amiche ad ogni costo, perché doveva rivederlo! Il barista la guardava con aria di compatimento; sembrava una che beve per dimenticare, o una minacciata, dato che non faceva altro che guardare l’entrata.
Fino a che, improvvisamente, Martina ebbe una visione. Fu una cosa di un attimo, lo vide entrare e togliersi il cappotto scuro, poi l’immagine fu inghiottita dalla folla. Martina saltò giù dallo sgabello con prontezza, lasciando sbigottito il barista scettico. Il movimento improvviso la fece barcollare. Era talmente ubriaca che non si teneva bene in piedi, dovette appoggiarsi al bancone per ritrovare l’equilibrio. Poi si guardò attorno. Lui non era visibile da nessuna parte, ma probabilmente era andato a portare il cappotto al guardaroba.
Lui era lì, infatti, le dava le spalle. Martina avrebbe voluto chiamarlo, ma ovviamente non sapeva il nome. Se ne stette lì impalata a fissargli le spalle.
“Ehi!” gli disse non appena lui si voltò. Magnifico. Non era lui. Era un altro! E visto di faccia, con quel nasone, non gli assomigliava nemmeno. Ma Martina era assolutamente certa di averlo visto entrare. Per quanto, ubriaca com’era, la certezza c’era. Si  allontanò scuotendo la testa sconsolata, senza guardare dove andava. Così gli andò a sbattere addosso.
Alzò la testa per scusarsi e rimase impietrita. Era lui! Il suo lui, quello dei bagni, dei baci, dell’orgasmo travolgente, bello come un sogno, lì davanti a lei. E sorrideva. Martina già faticava a reggersi in piedi e in quel momento le ginocchia quasi le si piegarono.
“Ciao.” Dio c’è. “Ciao”, rispose lui coprendo appena il frastuono. Era con due amici, ma non si preoccupò di loro, prese Martina per un braccio e la trascinò in un angolo più silenzioso.
“Si può sapere dov’eri finita la settimana scorsa?”
Martina cercò di pensare in fretta ad una scusa decente. Dire semplicemente che era andata a casa non sarebbe parso molto intelligente. Ma lei voleva sembrare intelligente? Oppure terribilmente sexy? Be’ certo con quell’aria da tonta che doveva avere in quel momento, il tentativo di sembrare intelligente era miseramente naufragato prima ancora di partire.
“Le mie amiche mi hanno trascinata a casa prima che potessi salutarti” Ma forse a lui non interessava veramente una scusa. Lui era interessato a lei, al suo corpo snello e flessuoso e alle sue curve morbide. Era interessato a passarle ancora le labbra sul collo inarcato, bianco come quello di un cigno, voleva posare ancora le mani sui seni pieni con i capezzoli eretti, sottolineare la curva dell’addome, inserirle la lingua tra le cosce bagnate e frementi.
Voleva scoparsela in un letto comodo, avere tempo per portarla all’orgasmo con calma, sentirla esplodere sotto di se e poi scostarle i capelli dalla fronte sudata e sorriderle. Martina era bella. Una massa di riccioli rosso scuro le incorniciava il volto e le spalle. Aveva enormi occhi verdi da pantera e una carnagione chiarissima. Il seno era pieno e alto e il sedere rotondo. La vita sottile e le gambe lunghe e snelle.
Ma non era solo quello. Martina era sensuale sotto pelle. Aveva questo modo di camminare, di muovere le mani, di voltarsi verso qualcuno che sembrava fosse appena uscita da un letto di piacere. A stare vicini a lei si respirava aria di sesso; c’era qualcosa nel suo sorriso, che faceva pensare a quanto fosse in grado di compiacere gli uomini, di capire cosa loro preferissero, come se la sapesse lunga, come se ci si potesse affidare a lei e aspettarsi il meglio. E obiettivamente, nessuno dei suoi compagni era mai rimasto deluso.
“Cosa ci facciamo qui, dai, andiamo via”, propose lui improvvisamente. Martina non si preoccupò nemmeno di dire “Ma” pensò solo che andava bene, avvisò le sue amiche stupefatte (“Ma come: sei stata tu a voler venire qui a tutti i costi”), andò a prendersi il cappotto al guardaroba e se ne uscì con lui nel gelo della notte. Era mezzanotte passata. Lui la condusse alla propria macchina tenendola per mano e andarono a casa sua.
Abitava da solo in un loft con grandi finestre. Accese un faretto, che spense subito dopo aver acceso una grassa candela bianca sopra un tavolino nei pressi del letto. Fece partire dallo stereo una soffusa musica jazz e tornò verso Martina, ancora stordita sulla soglia. Nel cervello le rimbombavano le parole di sua madre quando era bambina: “Non accettare passaggi dagli sconosciuti.” Qui stava addirittura accettando ospitalità! Ma lui non era uno sconosciuto vero? E poi come ci si poteva aspettare forza di volontà e buon senso da un’ubriaca?
Lui le si avvicinò e le tolse delicatamente il cappotto. Martina era imbambolata, forse un po a disagio, forse ancora un po’ sorpresa dalla situazione. Lui appese il cappotto di Martina e la invitò a sedersi. Poi le versò del vino rosso in un calice. Sembrava tutto un sogno. Luci soffuse, musica di sottofondo, bicchiere di vino e lui; sicuramente mentre sto per venire mi sveglio, pensò Martina.
Lui si sedette accanto a lei. Si avvicinò fino a baciarle delicatamente il collo e indugiò a sentirne il profumo. Martina chiuse gli occhi per assaporare meglio le sensazioni. Lui continuò a baciarla sul collo, poi scese verso la spalla. Martina indossava un abitino nero a sottoveste, con le spalline sottili, dalle quali sporgevano quelle del reggiseno di tulle nero. Era un reggiseno semplicissimo, senza pizzo, col ferretto, completamente trasparente. Nell’abbassarle le spalline del vestito lui lo vide e si soffermò a guardarlo nella penombra. Poi si chinò a baciare uno dei due seni, ancora coperto.
Martina si abbandonò sul divano, estasiata. Cercò un ripiano sul quale appoggiare il bicchiere vuoto, poi con le mani finalmente libere cominciò ad accarezzare lui. Lo abbracciò e lo strinse, affondando le dita dentro la carne della schiena. Poi pian piano prese ad estrargli la camicia dai pantaloni, cercando di non strattonare e quando finalmente ci fu riuscita, gli passò le mani diretta.
“Ehi”, – gli sussurrò ad un certo punto -, “dammi un bacio.” E lui la baciò, vorace e interminabile, mentre con una mano scivolava sotto il vestito di Martina, verso lo slip di tulle. Mentre la baciava le infilò le dita dentro le mutandine e accarezzò quella carne calda, palpitante e bagnata. Le dita gli scivolarono dentro senza fatica e Martina ebbe un sussulto di piacere.
Mentre si lasciava baciare e accarezzare, Martina gli slacciò agilmente la camicia e gli passò le mani su tutto il busto, con carezze leggere come piume. Poi gli aprì la cintura e la cerniera dei pantaloni. Lui era li, appena coperto dai boxer di seta e Martina lo liberò all’aria. Lo prese in mano: era grosso e duro come granito. Ci passò sopra i polpastrelli, delicatamente, come a saggiarne la consistenza.
Avrebbe voluto guardarlo, ma lui continuava a baciarla. Allora lo strinse con fermezza e cominciò a muoverlo. Lui ebbe un sussulto di piacere e smise di baciarla, anche se non di accarezzarla tra le cosce. Si guardarono nell’oscurità, con gli occhi socchiusi per il piacere. Fu un bacio lungo e incredibilmente calmo, poi improvvisamente lui si staccò, prese Martina per la vita e la fece sdraiare sul letto a pancia in giù. Si sdraiò sopra di lei muovendosi.
Come per telepatia si sollevarono leggermente insieme e lui scivolò naturalmente dentro di lei, senza fatica, come se i due corpi si appartenessero da sempre. Questa perfezione li lasciò immobili per un attimo, poi lui ricominciò a muoversi dentro di lei, che era così calda e scivolosa e gli si muoveva contro ondeggiando il bacino. Lui la teneva stretta con un braccio attorno alla vita e con l’altro cominciò a toccarla davanti, strappandole sospiri, che poi divennero gemiti e infine grida e Martina era altrove, fuori da quella camera da letto, da quella casa, da quella città.
Era in un mondo confuso, privo di controllo, dove tutto era corpo, dove esistevano solo quelle ondate insostenibili di piacere, mentre lui le si muoveva dentro ritmicamente e i suoi muscoli cominciavano a contrarsi al di fuori della sua volontà. Come in un crescendo Martina sentì improvvisamente qualcosa stringersi a vortice dentro di sé, stupendo e incontrollabile, percepì i propri gemiti e il proprio orgasmo come se non le appartenessero, mentre il piacere di lui le si fondeva dentro e i loro sospiri si sovrapponevano in uno unico, corto e lunghissimo, rauco e acuto.
Lui rimase ancora dentro di lei per un po, mentre entrambi si calmavano, poi le afferrò un ginocchio, facendole perdere l’equilibrio, di modo che Martina si accasciò sdraiata sulle coperte. Lui le si sdraiò accanto sfinito, senza comunque lasciarla andare, anzi tenendola stretta come un tesoro prezioso.
Martina aveva gli occhi spalancati per la sorpresa. Era stato intenso come un uragano, ancora non se ne capacitava.
Non era più ubriaca adesso; era perfettamente sobria e lucida, anche se faceva fatica a rendersi conto di quello che era successo. Era stato di un’ovvietà disarmante, esattamente come doveva essere, perfetto in ogni particolare, quindi impossibile.
Lui le sussurrò alcune paroline dolci all’orecchio, poi si addormentò sfinito. Anche Martina era lì lì per chiudere gli occhi e abbandonarsi al sonno, quando fu colpita a mò di fulmine da una considerazione che aveva accantonato per la serata: “Domani ho l’esame di diritto privato!”
Erano le quattro del mattino e alle nove doveva essere in università. “Mi addormenterò in faccia al professore!”. Si liberò delicatamente dall’abbraccio e cominciò a vestirsi, impacciata come un orso per via del buio quasi pesto della casa. I suoi vestiti erano disseminati tra il divano e il letto e lei era lì carponi a cercarseli e a osservarli come un ladro.
Tanto per cominciare, non voleva uscire con addosso la camicia di lui! Infine trovò il vestito, la biancheria e si rivestì. Stava per uscirsene di soppiatto con le scarpe in mano, quando fu attraversata da un secondo lampo di lucidità:
“Adesso che l’ho trovato non lo voglio più perdere”.
Così tastò in giro alla ricerca di un foglietto e di una penna, terrorizzata all’idea di rovesciare qualcosa, provocando un baccano insopportabile e svegliando non solo lui che dormiva come un bambino, ma anche tutto il vicinato nel raggio di due chilometri.
Infine trovò un pezzo di carta, prese la penna dalla propria borsetta (“Ma perché qui dentro non si trova mai niente?”) e gli scarabocchiò il proprio nome e numero di telefono. Poi aggiunse “Chiamami” e appese il foglio in bella vista sul frigorifero.
Uscì di soppiatto nel buio gelido della notte e digitò sul cellulare i numeri di un radio taxi.
Accidenti, si era dimenticata un’altra volta di chiedergli come si chiamava!

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