Era un triste e grigio pomeriggio invernale. Stavo viaggiando su un vagone semideserto della metropolitana, recandomi al lavoro. Cercavo di ammazzare il tempo leggendo il giornale.
Improvvisamente entrò lei.
Fu come un raggio di sole, capace di rischiarare quel tetro pomeriggio.
Vidi la sua gamba comparire da oltre la porta, dal mondo “esterno”.
Il tempo si fermò, in quell’istante. La sua immagine è ancora impressa, nitida, nella mia mente. Ebbi il tempo di osservarla attentamente. Era bellissima. Lunga, slanciata, perfetta.
Poi comparve lei, nella sua interezza. Una cascata di capelli biondi e un corpo da favola.
Si andò a sedere proprio di fronte a me.
Io continuai a leggere il mio giornale, per poi lanciare uno sguardo a quella meravigliosa creatura che si era materializzata, come per incanto in quel triste contesto.
Rimasi fulminato, quasi soverchiato da un lampo azzurro che investì la mia persona. I suoi occhioni di ghiaccio erano puntati, maliziosi e prepotenti, verso i miei.
Cercai di reggere il suo sguardo per alcuni istanti, ma non ci riuscii.
Tornai a rifugiarmi dietro i fogli del giornale.
Aspettai alcuni minuti. La voglia di osservare quel corpo cresceva in me, ma avvertivo un senso di soggezione, quasi di paura.
Ritentai. Rimasi stupito quando mi accorsi che lei stava ancora fissandomi. Iniziai a sentirmi in imbarazzo. In quel momento avrei preferito che la metro fosse piena di gente, che la folla riuscisse a fare scudo di fronte a quello sguardo, verso il quale mi sentivo indifeso, nudo.
Il vagone si fermò. Entrò nuova gente.
Quasi ad esaudire le mie preghiere, un signore con una bambina si alzò e si frappose tra noi. Io cercavo intanto di calmarmi, di darmi un contegno.
Tornai a pensare a quella gamba, meravigliosa, mentre sale sulla metro. Era infondo l’unica cosa che avevo potuto ammirare di lei. Cosa aveva di tanto intrigante? Ci ragionai un attimo. Tentavo di fare mente locale. Improvvisamente capii. Ebbi la certezza che sotto la leggera gonnellina indossava un intrigante reggicalze.
Senza neppure accorgermene, i miei occhi tornarono a dirigersi verso quella donna misteriosa e conturbante. Il suo volto mi era nascosto, perciò potevo indugiare indiscretamente sul resto del suo corpo.
Notai subito quei suoi tacchi neri, altissimi, che le conferivano un tocco ancora maggiore di sensualità.
Poi risalii con lo sguardo, i suoi polpacci, le sue cosce splendide. Infine mi arrestai, quasi trasalendo. La posizione in cui era seduta, che era in realtà composta e naturale, non riusciva a nascondere, al di sotto della gonna, il sottile lembo di stoffa delle sue mutandine. Erano di pizzo blu, questo lo notai distintamente.
Mi diedi un’occhiata intorno. Il resto della gente era distratta e assente, com’era quasi naturale in quel sonnacchioso pomeriggio. Nessuno sembrava fare caso alle grazie di quella deliziosa signorina, così generosamente offerte.
Il mio sguardo tornò prepotentemente ad ammirare quella parte del corpo di lei, che così raramente le donne lasciano intravedere.
Il vagone si fermò nuovamente. Il signore scese, portando per mano la sua bambina.
Io non ci prestai attenzione più di tanto, finché non realizzai che non c’erano più ostacoli tra me e lei.
Alzai lo sguardo violentemente e nuovamente incrociai i suoi occhi. Lei aveva
continuato a fissarmi, aveva notato che il mio sguardo indugiava impietosamente sulle sue parti intime. Nondimeno non aveva fatto nulla per comporsi meglio. Aveva lasciato che le sue mutandine risultassero visibili al mio sguardo, senza mostrare alcun segno di imbarazzo.
Imbarazzatissimo ero invece io.
Rosso in viso dalla vergogna, tornai a guardarmi in torno, per vedere se la qualcuno avesse assistito alla scena. Tutto normale. Ognuno, perso nei propri pensieri, sembrava estraneo a quanto gli accadeva intorno.
Era una situazione paradossale. Sembrava che le uniche cose vere fossimo io e quella misteriosa donna, mentre tutto intorno era solo finzione, un nugolo di eterei fantasmi su un treno lanciato a folle corsa verso l’ignoto.
Aprii nervosamente il giornale, non che avessi motivo di leggere qualcosa, ma solo per darmi un tono e sfuggire allo sguardo, sempre più penetrante e insistente, di lei.
Nondimeno non riuscivo ad essere indifferente a quello che faceva la mia “persecutrice”.
Lei sicuramente si era accorta del mio imbarazzo, e continuava a tormentarmi.
Sentivo in ogni momento il suo sguardo su di me.
Il vagone fece una nuova fermata. Molti scesero, qualcuno salì. Diventavamo sempre di meno, mentre l’atmosfera diventava sempre più calda.
Tornai a volgere la mia attenzione su di lei. Sfruttando un momento in cui sembrava distratta, esplorai la parte superiore del suo corpo. Era una donna che riusciva a stupirmi sempre e comunque.
Indossava una camicetta forse, anzi sicuramente, troppo leggera per il clima di quella stagione, ma che le permetteva di far trasparire un magnifico seno, ingabbiato in un intrigante reggiseno a balconcino, anch’esso di pizzo blu.
Mentre ero perso in quella deliziosa visione, lei d’improvviso si alzo.
Il cuore mi rimbalzò nel petto. Avvertivo quasi il desiderio che si avviasse verso l’uscita, per liberarmi di quella presenza, che era diventata quasi oppressiva. Ma in fondo sapevo di mentire a me stesso. Quel “gioco” pian piano iniziava ad affascinarmi.
Sono sicuro che si accorse del mio sconcerto. Probabilmente non le era sfuggito nulla, da quando era salita, di quello che facevo e pensavo. Mi parve di percepire un sorriso di soddisfazione sul suo volto.
Reggendosi con la mano sinistra al sostegno del vagone, poggiò il piede destro sulla sedia su cui era stata seduta, e inarcando il corpo sulla gamba piegata, sin quasi a toccarlo col suo seno prorompente, fece finta di accomodarsi la sottile cinghia della scarpa.
Ovviamente ben sapeva che in quella posizione era quasi impossibile che la sua gonnellina non lasciasse intravedere il suo magnifico sedere, e sapeva ugualmente che io, dal posto in cui ero seduto, non potevo esimermi dall’osservarlo.
In realtà ciò che lei consentì che ammirassi andò ben oltre le mie aspettative. Con la gonnellina che generosamente si allargò, mi apparvero in tutto il loro splendore i suoi glutei davvero meravigliosi, perfettamente modellati, e le sue mutandine che sparivano per un piccolo tratto nelle sue più profonde intimità. Mi parse quasi di percepire l’inebriante odore del suo sesso. Ebbi la possente tentazione di avvicinarmi a quell’universo così bene in mostra, di annusarlo, di leccarlo, di appropriarmene e di fondermi con lui.
L’operazione durò solo pochi istanti, più che sufficienti per farmi un’idea ancora più completa della bellezza e perfezione del suo corpo, così come dell’incredibile forza di lei, del suo autocontrollo, della sua disinibizione. Il resto della gente sembrava invece non essersi accorta di niente.
Lei girandosi, con fare tranquillo e naturale, mi lanciò un’occhiata, questa volta apertamente, di sfida. Come per dire: <>.
Al mio sguardo, sempre più attento, non sfuggì che mentre tornava a sedersi aveva alzato la parte posteriore della sua gonna, di modo che i suoi glutei andavano a contatto diretto col sedile. Pensando a quel contatto, a quella parte così delicata del corpo femminile e al sedile gelido, rabbrividii. Si trattava di un’ulteriore provocazione verso di me.
Stridendo, il vagone fece nuovamente sosta.
Entrarono tre ragazzini che ridendo e scherzando si vennero a sedere a fianco a me, anch’essi di fronte lei.
La cosa non mi fece piacere. Pensai che a questo punto il nostro “gioco” fosse veramente giunto al termine.
Lei però non era ancora soddisfatta. Aprì una borsetta che aveva con sè e ne estrasse un libro. Nel posare lo zainetto fece ben attenzione a scomporsi la gonna, di modo che lasciasse scoperte le sue splendide gambe ben oltre il lecito, mostrando chiaramente il reggicalze e il piccolo lembo di biancheria. Poi si mise tranquillamente a leggere. O meglio, fece finta, perché i suoi occhi continuavano a fissarmi e a lanciarmi sfide segrete.
Io tornai ad agitarmi. Avrei pagato qualsiasi cifra perché lei si coprisse meglio.
Quello sguardo intrigante di lei, mentre, scomposta, offriva la visone delle sue grazie ad occhi estranei, su un vagone di metro mi faceva impazzire. Non capivo come potesse restare lì tranquilla, e ciò dimostrò ulteriormente la sua forza.
I ragazzini a un certo punto se ne accorsero, e incominciarono a sorridersi, a darsi gomitate e ad eccitarsi. Io ero imbarazzatissimo ed ero sul punto mollare tutto, di scendere alla fermata successiva, per tornare a respirare.
Ma qualcosa mi tratteneva. Volevo vedere fino a che punto riusciva a resistere in quella situazione, fino a dove si sarebbe spinta. Ora che, sicuramente, si era accorta dei movimenti dei ragazzi, avrebbe ancora resistito ai loro sguardi indiscreti?
In realtà lei continuava a sembrare molto calma, anzi pian piano scopriva ancora di più la sue meraviglie nascoste. E continuava a fissarmi.
Nuova fermata. I ragazzini scesero, evidentemente soddisfatti dell’inatteso spettacolo che quella meravigliosa donna aveva saputo offrire loro.
Io ero ormai al limite della sopportazione. Non riuscivo a capire come quella misteriosa ragazza era riuscita a condurmi in quello stato.
Lei mise via il libro, che evidentemente non le serviva più, avendo conseguito il suo scopo, e tornò a lanciarmi una di quelle occhiate fulminanti, che tanto mi avevano impressionato all’inizio. In realtà quest’ultima mi fece quasi vacillare. Era un segnale di vittoria, come a dire:
<>.
Poi si risistemò tutta, impeccabilmente.
Vista così, seria e composta, sembrava un’altra donna, tanto che non riuscivo a credere che poco prima mi aveva dato modo di osservare le parti del suo corpo più segrete e nascoste.
Grossa frenata, si aprirono le porte, e lei, improvvisamente, si alzò e scese dal vagone, e, così come era apparsa, scomparve, prima ancora che io avessi potuto rendermi conto dell’accaduto.
Avrei voluto scendere anche io, chiederle il nome, offrirle qualcosa, conoscerla meglio. Ringraziarla per le sensazioni irripetibili che era stata in grado di regalarmi.
Ma ormai era troppo tardi. Le porte tornarono a chiudersi e il vagone tornò in
movimento. Le lanciai un’ultima occhiata mentre la vedevo scomparire sempre più rapidamente, risucchiata dalla folle velocità della metro che si allontanava, portandomi con sé.
Anche lei cercò per l’ultima volta il mio sguardo.
Quando non la vidi più, volsi i miei occhi verso il punto in cui lei era stata seduta fino a poco fa, e da dove aveva saputo dominarmi ed affascinarmi.
Sul sedile scorsi la sagoma che, i suoi glutei, a contatto diretto con la sedia, avevano lasciato. E non era solo sudore.
Ormai il vagone era quasi deserto. Mi alzai e mi avvicinai a quel sedile. Con un fazzoletto asciugai quegli umori, e li odorai. Mi venne in mente quell’inebriante aroma che avevo percepito quando lei mi aveva fatto dono della vista del suo splendido posteriore.
Guardai l’orologio. Da quando era salita non erano passati più di 15 minuti, eppure avevo la sensazione di stare da una vita dentro quel vagone.
Ormai era giunta la mia fermata. Chiusi la mia giacca ed uscii, confondendomi con la folla di un triste e uggioso pomeriggio invernale.