Io e Pietro siamo sposati da quasi due anni. Ci siamo incontrati, innamorati e sposati nel giro di qualche mese, conoscendoci appena. La nostra storia può comunemente definirsi frutto di un colpo di fulmine. Ma ciò costituirebbe solo una descrizione riduttiva del nostro sentire e della natura del rapporto che ci lega. Ad un esame più attento, io e Pietro ci siamo incontrati, ci siamo riconosciuti e ci siamo donati l’una all’altro con la passione e la totale spontaneità di chi sa di appartenersi. Col fiuto degli animali, come un cucciolo riconosce la propria madre, la femmina il proprio maschio, la schiava il proprio padrone. Ci siamo dati da subito senza inibizioni, vedendo collimare ed esaudirsi i desideri dell’uno in quelli dell’altra.
Inutile negare che ciò che di me rapì sin dall’inizio Pietro, fu il mio fondoschiena.
Inutile negare che questa è esattamente la sua passione. Un sedere alto, pieno, invitante, nel quale affondare il viso. Natiche grandi, da allargare a piene mani, da pizzicare, da sculacciare. Fianchi larghi, forti, tipici delle donne predisposte alle gravidanze, da prendere con decisione, capaci di reggere il peso di una passione incontrollata. Ovvero la parte più intima di qualsiasi altra per un essere umano. Da un punto di vista strettamente fisico, lui amava tutto questo; da un punto di vista più marcatamente mentale, lui amava l’idea di scavare nell’intimità della sua donna, di scoprirne le zone più segrete, di possederla e dominarla là dove la pudicizia comanda un maggior riserbo.
Pietro coltivava questo sogno da sempre. Sin da ragazzino sognava di possedere una schiava da umiliare e martoriare nel profondo. La vedeva nei suoi sogni legata, sottomessa, stremata dalle continue torture; immaginava le sue natiche viola per le violente percosse; immaginava di aprirle, e di sentire cedere sotto i colpi del suo membro o della sua mano l’ano fino all’ultimo sfintere. Non aveva avuto modo, però, di soddisfare interamente i suoi desideri, in passato; le sue esperienze di penetrazioni anali si limitavano a qualche sofferto e sporadico tentativo.
Dal canto mio, la passione che Pietro mostrava nei confronti del mio sedere mi provocava una sorta di orgogliosa eccitazione. Sapevo che era la parte del mio corpo ad interessare maggiormente, da sempre esposta alle battute e agli apprezzamenti di uomini e donne. In realtà, la mia aspirazione ad un ideale di perfezione estetica non mi consentiva di apprezzarlo totalmente, ma il fatto che fosse l’oggetto dei commenti e degli sguardi altrui mi rassicurava non poco. Insomma, ero nota per avere un gran bel culo. Ma ancora non conoscevo le gioie e il piacere che questa parte del mio corpo poteva darmi. Non sapevo ancora che essa potesse offrirmi un piacere sessuale tanto elevato quanto le penetrazioni vaginali, ma in fondo non volevo ammettere alla mia parte cosciente e razionale che l’idea mi solleticava e mi eccitava. Nell’ intimità del mio letto di ragazza, ero solita accarezzarmi il sedere. Mi piaceva stendermi prona, sollevavo leggermente i fianchi, offrendo le mie natiche al tocco del lenzuolo ancora freddo, le palpavo a lungo, le strizzavo, ormai lontana da qualsiasi controllo razionale e protetta anche dal mio stesso giudizio dal buio della camera e dal peso delle coperte. Puntualmente mi eccitavo. Passando attraverso i glutei, sfioravo la mia vagina da dietro e la sentivo già bagnata. E allora perdevo ogni controllo e ogni ritegno, immaginavo che le mani che mi toccavano non fossero le mie, ma quelle del mio uomo, del mio signore che mi guardava restando in ginocchio, a cavalcioni sul mio corpo nudo, e che mi dominava dalla sua postazione. Finivo col masturbarmi violentemente, immaginando di essere sculacciata, presa per i fianchi e posseduta nella vagina da dietro. Quello era il mio limite. Le penetrazioni anali che avevo provato fino ad allora non mi avevano procurato un vero piacere e l’imbarazzo che sentivo era talmente forte da non consentirmi affatto di rilassare i miei muscoli.
Naturalmente Pietro fu chiaro nei suoi intenti da subito. Eppure la cosa non mi spaventava. Dalla nostra prima volta, ci mostrammo reciprocamente passionali e teneri al contempo, ma senza reali inibizioni. La cosa per me fu sconvolgente. Io così timida e riservata, feci l’amore con lui la prima sera in cui uscimmo insieme. Fu una cosa naturale, senza pensarci un attimo mi denudai completamente, invitandolo a stendersi su di me. Lui, per tutta risposta, mi costrinse prona sullo schienale reclinato dell’auto e immerse la sua lingua tra le natiche, insistendo sulla rosetta del culo. Non ressi a lungo a quella sensazione meravigliosa, cominciai a mugolare di piacere e a muovere i fianchi come un’invasata, i miei occhi erano lucidi e la mia mente totalmente annebbiata. La mia reazione lo resero folle d’eccitazione, mi fece voltare e mi penetrò di botto. Nonostante fosse abbondantemente bagnata, sentii il suo enorme membro strisciare lungo le pareti della vagina e per un attimo pensai che mi avrebbe lacerata. Sentendomi gemere, lui pensò di avermi fatto male e si addolcì immediatamente. Quasi subito il mio sesso si adattò al suo e i movimenti lenti del suo pene mi fecero impazzire tanto quanto riconoscere nei suoi occhi umidi per l’emozione colui che aspettavo da una vita. Leggendo nei miei, Pietro ebbe la stessa consapevolezza; appoggiò per un attimo il suo capo contro la mia spalla, mentre io assaporavo l’odore dell’uomo al quale decisi di appartenere. Si fermò.
”Sei.. . bellissima.. . “mormorò in un soffio, guardandomi con un’espressione di incredulità e scuotendo la testa aggiunse “Non posso crederci.. . “.
Il ritmo dei suoi fianchi riprese lentamente ad aumentare, regalandomi un orgasmo così intenso da sentire vibrare per la prima volta il mio corpo sin nelle viscere. Restammo l’uno sull’altra per un tempo indefinito, in silenzio, godendoci la dolcezza di quel primo, caldo abbraccio. Poi pensai io a lui: lo scostai, invitandolo a sedere al posto guida. Glielo presi in mano, si era un po’ ammosciato, ma la dimensione e le pulsazioni che sentivo sotto le mie dita denunciavano un desiderio ancora da appagare. Leccai accuratamente il pene partendo dal glande e sentendo ancora forte il mio sapore; la cosa mi eccitò e presi a gustarmi con estrema cura e lentezza la splendida sensazione di sentire il cazzo crescere a dismisura sotto il tocco della mia lingua. Poi lo mordicchiai lievemente con le labbra, prima di lasciarlo scivolare fino in fondo alla mia gola. Non dimenticherò mai la sensazione che mi diede ascoltare per la prima volta il suono dei suoi gemiti di piacere. Accrescendo sempre più il ritmo, lasciavo scorrere il cazzo su e giù nella mia bocca senza sfiorarlo con le mani, fino a quando un caldo liquido inondò la mia gola; continuando a succhiare, diminuii il mio gioco di bocca, assaporando il suo sapore come lui aveva assaporato il mio.
Da allora, ogni nostro rapporto sessuale fu vissuto con un trasporto sempre crescente, e ogni incontro significava una scoperta o una conferma in più. E sin dall’inizio, Pietro mi confessava nel delirio della passione che il suo obiettivo era scoparmi nel culo, ogni notte della mia vita, allargarlo, divaricarlo, arrivare a sfondarlo con mani o con oggetti. Delicatamente, vi appoggiava sopra il glande, provando a spingere, ma la l’ agitazione non mi permetteva di aiutarlo nella penetrazione. Sapevo che il dolore che si prova, per quanto intenso, è dovuto solo alla fase iniziale e che poi, man mano che il canale si inumidisce e si allarga, la penetrazione diventa più fluida e il dolore scompare. Ma mi facevo mille paranoie, saltavo letteralmente dal letto appena sentivo che Pietro spingeva oltre il limite demarcato la volta prima. Lui agiva con pazienza e metodo, pur impazzendo dalla voglia di affondare il suo membro una volta per tutte fino in fondo, ma mi ripeteva che non poteva godere di me, in quel modo; mi diceva che lui avrebbe goduto solo se avessi goduto io per prima. Ed io volevo arrivare al punto di godere e di farlo godere, volevo arrivare al punto di essere io stessa ad invocare che me lo desse nel culo, di gridargli di scoparmi e di sfondarmi. Ma l’imbarazzo e il dolore fisico mi trattenevano.
Fino a quando non accadde quasi per caso.
Eravamo ancora fidanzati. Quel giorno, i miei impegni non ci avevano consentito di incontrarci, e la sera inoltre avrei dovuto lavorare fino a notte. Per telefono, lui mi chiese di passare da casa sua almeno prima di andare a lavorare, ma il traffico del rientro serale mi fece far tardi, così lo chiamai per dirgli che se fosse stato ancora sveglio, lo avrei raggiunto dopo il lavoro. Lui mi disse che sarebbe uscito con i suoi amici e che sicuramente avrebbe fatto in modo di aspettarmi sveglio.
La serata passò velocemente. Il tempo volò senza che me ne rendessi conto. Amavo il mio lavoro, lo prendevo quasi un gioco, e per di più mi consentiva la massima libertà. Mi capitò, quella sera, di bere un paio di bicchieri di vino, cosa che non facevo mai perché preferivo restare sempre lucida, ma quella sera era l’antivigilia di Natale e i miei stessi superiori mi trascinarono nell’esaltazione generale dei festeggiamenti. Alla fine dell’orario di lavoro, quando ormai l’ambiente si era rilassato, decidemmo con i miei colleghi di terminare il vino rimasto, cosicché, quando presi l’auto per raggiungere Pietro a casa sua, mi accorsi di essere completamente brilla.
Pietro mi aspettava da oltre un’ora, ma anche lui si era piuttosto dato da fare insieme ai suoi amici. Insomma, anche lui aveva iniziato i festeggiamenti natalizi con un certo anticipo. L’ambiente era ovviamente silenzioso, data l’ora i familiari di Pietro dormivano. Lui mi portò subito nel salone, mi abbracciò e mi baciò con foga. Mi confessò che gli ero mancata e che per l’occasione di un incontro tanto atteso aveva preparato una sorpresa. Tirò fuori dal taschino un piccolo cilindro di carta manufatto che suscitò un mio largo sorriso, poi mi prese per la mano e mi portò al tavolo su cui aveva preparato anche due bicchieri di vino rosso. Io sedetti, e sorseggiando il vino iniziai a raccontargli quanto piacevole fosse stata la mia serata. Lui mi guardava sorridendo, ma in silenzio. Non staccava gli occhi da me. Accesi la canna e aspirai profondamente. Fumammo e bevemmo conversando sottovoce, ma i suoi occhi restavano incollati alla mia scollatura, attraverso la quale si intuiva che non portavo il reggiseno. Mi accarezzava i lunghi capelli, guardava le mie labbra muoversi mentre parlavo, giocava con la mia mano sinistra, ogni tanto si protendeva per un innocente bacio sulle labbra. Io sentivo fluire il sangue alle tempie. Ero mezzo ubriaca e il fumo aveva acuito la ricettività di certi messaggi. Mi ero rilassata, mi sentivo languida e calda, e quel suo modo di guardami mi aveva eccitato. Mi sporsi verso di lui e lo baciai, riscoprendo quanto mi mandava in visibilio il suo sfuggire alla mia lingua. Mi sedetti su di lui e questa volta non gli permisi di ritrarsi: gli ficcai la lingua in bocca, e lui rispose con tutta la sua passione. Anche lui si sentiva strano, reggeva a meraviglia l’alcool, ma il fumo gli dava alla testa. Un po’ per l’alcool, un po’ per il fumo, un po’ per l’eccitazione di toccarci dopo un’astinenza piuttosto sofferta, perdemmo la testa entrambi. Io in particolare ero fuori di me. Gli mordicchiavo i lobi delle orecchie, di succhiavo le labbra, gli passavo la lingua sul collo mentre oscillavo sinuosamente i fianchi per sentire meglio il suo membro gonfio attraverso gli abiti. Sollevai la maglietta e gli ficcai un capezzolo in bocca, chiedendogli di morderlo, si succhiarlo e di farmi vedere come sapeva muovere la lingua. I capezzoli si indurirono all’istante. Tenendoli entrambi tra indice e pollice, provò ad alzarsi, trascinandomi su con sé. Mi voltò e mi costrinse a camminare in direzione del divano.
”Quanti uomini hai fatto impazzire muovendo il tuo culo, stasera, eh? Quanti hanno allungato una mano? “
Mi parlava all’orecchio, con rabbia mista ad eccitazione.
”Guarda come ti sei vestita, poi, lo fai venir duro solo a guardare i tuoi fianchi muoversi mentre cammini”
Il jeans attillato e a vita bassa mettevano in realtà in risalto il mio culo e la maglia stretta e scollata non castigava certo un qualsiasi pensiero peccaminoso. Una sberla colpì la natica destra. Una, due, tre.
”Piccola troia, ti piace essere guardata.. . “. Delirava.
” Potrebbero sentirci.. . “mi venne da dire.
”Sta tranquilla, non ci sente nessuno” sussurrò al mio orecchio. Nel frattempo aveva abbassato il jeans alle ginocchia e mordendomi la schiena, tirava su il perizoma che indossavo in modo che entrasse per bene negli spacchi del culo e della vagina. Io ero già bagnata, sentivo l’interno delle mie cosce appiccicate umido e caldo, e avevo in mente un solo pensiero: sentire il suo dito, là dove affondava il tessuto dello slip. Pietro lo tirò fuori. Sentii che lo appoggiava tra le natiche e che lo strofinava su e giù.
”Prima o poi te lo sfondo questo culo, mmmhhh, non vedo l’ora di poterlo aprire infilandoci una mano”, parlando, mi abbassò il perizoma.
Mi piegò su un bracciolo del divano e divaricò le mie cosce per quanto il jeans alle ginocchia lo consentisse. Tenendo il cazzo appoggiato tra le natiche, le muoveva con le mani facendole roteare, le stringeva attorno al cazzo, le palpava e si masturbava. Io impazzì a quel tocco tanto invitante. Passai le braccia dietro la schiena e allargai io stessa le natiche, ansimando e supplicandolo di prendermi. Allargai le chiappe con le mani e da quella posizione gli offrì tutto di me. Lui non se lo fece ripetere. Con la mano sinistra prese i miei polsi tenendoli bloccati dietro la schiena, con l’altra faceva leva tenendosi dalla mia spalla destra e iniziò a spingere la sua cappella contro l’orifizio anale. Stranamente io non sentivo dolore e lo lasciavo fare, anzi senza parole, rossa in viso, lo invitavo a venire più a fondo muovendo il bacino. L’effetto della canna aveva completamente rilassato i miei muscoli, mi sentivo come anestetizzata. Anche lui non parlava più, era totalmente rapito da ciò che stava facendo, lo sentivo ansimare dietro di me, mentre continuava a tenermi in quella posizione. L’eccitazione aveva completamente sconfitto ogni mia remora, e muovevo il culo come una cagna in calore. Ciò che i miei sensi chiedevano erano la soddisfazione di un desiderio insoddisfatto da una vita, chiedevano la violazione dell’intimità remota, chiedevano di essere appagati. Mi resi conto di quanto stava accadendo solo quando sentii finalmente il dolore che tardava ad arrivare, quando lui finì di penetrarmi, fin quasi in fondo, a secco. Inarcai la schiena ancora di più sobbalzando per l’atroce dolore e affondai il volto su un cuscino appoggiato contro il bracciolo del divano per attutire i mugolii che mio malgrado emettevo. Strinsi coi denti quel cuscino, col volto in fiamme, pensando ora per la prima volta, che qualcuno avrebbe potuto entrare in quella stanza, trovando me semivestita montata alla pecorina. Per un attimo mi sentii colta dal panico. Il mio uomo mi stava violentando nel culo, mi sembrava che le tempie mi esplodessero, le sentivo pulsare e sentivo il viso scottare come il fuoco. Fu un attimo. Pietro accelerò il ritmo, e allora l’unica cosa che le mie orecchie udirono e che il mio cervello percepì furono i gemiti di piacere di Pietro, gemiti che mi avvolsero completamente, trascinandomi insieme a lui in un vortice di piacere. Stavo facendo godere il mio uomo come non mai, stavo dando inizio al coronamento dei suoi sogni più perversi. Un getto caldo sulla schiena e capii che quella era stata la sensazione più profonda che avessi mai provato fino ad allora durante un rapporto sessuale. Pietro mi ripulì, poi mi aiutò a rimettermi dritta e mi abbracciò fino quasi a soffocarmi. Anche lui si era lasciato trasportare, non aveva preventivato che sarebbe successo, voleva che accadesse in modo dolce, fluido.
”Come stai? ” mi chiese accorato.
”Benissimo” gli risposi sorridendo.
Restammo abbracciati ancora a lungo, cullandoci dolcemente.
Quella fu la nostra prima volta. Quella volta diede l’avvio ad una lunga serie di penetrazioni e dilatazioni.