Avevo diciannove anni e frequentavo il terzo liceo classico. Siccome non traducevo bene dal latino e dal greco e sicuramente uno dei compiti scritti degli esami di stato sarebbe stato dato in una delle due lingue antiche, andavo a ripetizione presso una professoressa brava e severa.
Io ero biondo e carino e la professoressa, in seguito seppi che aveva quaranta anni, era bella e procace, con petto e culo sporgenti, naso piccolo, labbra gonfie, occhi azzurri brillanti e capelli biondi.
Io a volte rimanevo incantato quando mi perdevo nelle insondabili profondità del solco che si apriva fra le due sue mammelle. Oppure inebriato quando mi si metteva alle spalle e cercando di guardare cosa stavo traducendo, mi sfiorava le spalle col fianco e col petto. Una volta mi era caduta la penna, da quanto ero fuori di me, e lei si era chinata a raccoglierla senza piegare le gambe, a novanta gradi o a squadra, come si dice di questa figura, e mi aveva messo sotto il naso e sotto gli occhi, la rotondità del suo sedere portentoso.
Io quasi automaticamente, senza accorgermene a livello cosciente, avevo messo la mano sinistra fra le natiche, beandomi di quel contatto caldo e vellutato e insieme pentendomi immediatamente del gesto, ma lei si volse, mi guardò severamente, mi prese per mano e, senza dire una parola, mi condusse in bagno.
Qui fece riempire la vasca, mi spogliò, si spogliò e cominciò ad insaponarmi l’uccello, poi mi condusse nella vasca, si mise in ginocchio e mi invitò a penetrarla nel sedere.
“Mettimelo in culo – mi disse – hai un cazzetto sottile. Muoio dalla voglia di un cazzo piccolo nello sfintere. Mio marito ha una cerchia paurosa e, quando mi incula, finisce sempre per stroppiarmi il buchino. E il piacere finisce invariabilmente per trasformarsi in dolore.”
Io feci quello che lei voleva e il mio pene le penetrò facilmente nel sedere soltanto con l’aiuto della saliva che Anna mi aveva depositato sulle dita.
La signora fece ripetere quel giochino tutte le volte che andavo a ripetizione e, per eccitarmi meglio, cominciò a raccontarmi che lei e il marito erano scambisti ed avevano già avuto rapporti a tre in combinazioni diverse. Poi mi disse che le sarebbe piaciuto avere il cazzo del marito, grosso e nerboruto, nella fica e quello mio, piccolo e delicato, nel buco del culo. E quindi un giorno, mentre ci stavamo dilungando in estenuanti preliminari, entrò in camera da letto il marito, che poi seppi si chiamava Mario, che, senza alcun problema, ci si distese accanto e cominciò a leccare alternativamente me e la moglie.
Dopo un po’ di questa manfrina, con movimenti lenti e rilasciati, si sdraiò supino col cazzo svettante, tenuto dritto verso l’alto da una delle sue mani.
Allora Anna, con mossa estenuante, si pose a cavalcioni all’altezza del bacino del marito e, con qualche problema riuscì ad impalarsi sull’asta debordante di lui. Io ero immobile, affascinato dal cazzo dirompente che entrava e usciva dalla fica dilatata della professoressa Anna, lei si dibatteva, smaniava, urlava il nome del marito, poi mi chiamò con la voce diventata rauca per la lussuria. Io capii che finalmente voleva essere stretta da due cazzi, uno in fica e uno in culo, ed eseguii ciò che Anna, senza profferire parola mi stava chiedendo. Lì per lì non feci caso al fatto che Anna, durante gli orgasmi reiterati, richiedesse un altro cazzo da succhiare, ma ebbi modo di ricordarmene più tardi.
Nel prosieguo del rapporto, con le sedute che diventavano sempre più frequenti Anna cominciò prima a leccarmi il buco del sedere. Poi cominciò ad infilarmici un dito, mimando l’inculata o imprimendogli un movimento rotatorio. Quindi, durante un sessantanove succoso e coinvolgente mi infilò nel foro anale un piccolo dildo. Infine mi chiese se, la prossima volta che fossimo stati su un letto in tre, mi sarei fatto sodomizzare dal marito Mario. Io mi schermii e allora lei mi spiegò che, per quanto fosse lontano dal senso comune, il buco del culo, anche se dilatatissimo durante il rapporto, si richiudeva perfettamente e che la rottura del sedere, tanto riproposta nelle opere porno di secondo ordine, era una leggenda. “Quindi – aggiunse suadente – la ripulsa prendere il cazzo nel culo per un uomo è solo una questione di morale vigente, essendo assodato, ed io ne sono testimone, che essere sodomizzati è una esperienza deliziosa che tutti gli esseri umani dovrebbero provare.” Messa la questione sulla libertà, anche mentale, dei costumi e sul progresso della civiltà, non potevo fare altro che accettare di essere sodomizzato da Mario.
Quando successe si trattò di un’orgia aggrovigliata. Tanto per cominciare Mario prese a pecora Anna che nel frattempo praticava un pompino a me che stavo in ginocchio davanti al suo viso. Poi Anna mi aveva fatto sistemare di fianco e , intrufolatasi dietro, tra me e Mario che fremeva alla vista del mio sedere glabro e rotondo, mi cosparse il buco di abbondantissimo lubrificante, infilando uno, due, tre dita. Ad un certo punto avevo sperato che mi infilasse tutta la mano che, d’altronde, era piccola e affusolata. Poi Anna mi aveva porto il lubrificante e mi aveva invitato, sorridendo incoraggiante, ad oliare il pene sostanzioso di Mario. Quindi Mario mi aveva fatto girare, con una certa sollecitudine, mettere a pecorina, infilato i due pollici nello sfintere e li aveva allargati fino a separare completamente la tenera mucosa del retto e lasciando un vuoto in mezzo. È inutile dire che avevo paura, l’uccello di Mario, dritto, era immenso, rispetto al mio, incurvato verso l’alto e duro come una verga d’acciaio. Quando cominciò a penetrarmi, mi sembrò di essere veramente squarciato, come si leggeva sulle riviste porno, ma poi, quando Mario, entrato dentro fino alla radice dell’uccello, cominciò a fare marcia indietro lentamente fino ad uscirmi completamente dal buco del culo per poi rientrare; e poi ripetere la manovra per una mezza dozzina di volte, il buchino anale mi diventò largo come l’imboccatura di un pozzo e addirittura mi sembrò che il cazzo smisurato di Mario ci sciacquasse.
Anna mi accarezzava, mi coccolava, si faceva leccare la fica, mi incitava a resistere alle bordate del marito. Mario mi insultava: “Ti piace il cazzo, troia! Stringi quel buco spannato! Ti ci entrerebbe un treno in questa galleria! Avanti, stringi, stritolami l’uccello!” Io mugolavo: “Si, sono la tua troia personale. Si, spaccami il culo, sporco bastardo!” Quando venne, Anna mi aveva imboccato l’uccellino e lo sburro che mi solleticava la mucosa dell’intestino mi provocò un orgasmo quale non avevo mai avuto.
Anna era contenta di quel mio nuovo ruolo, perché così suo marito avrebbe avuto il mio culo da penetrare e avrebbe lasciato stare il suo che era molto più propenso a farsi servire da un cazzetto gentile e premuroso qual era il mio.
Quando potei ridare via il sedere perché s’erano rimarginate le due o tre ferite prodotte dal frangiculo di Mario, Anna, mentre aspettavamo l’arrivo del marito sul lettone coniugale, mi fece indossare un paio di sue mutandine e una minigonna elasticizzata che metteva in risalto il mio sedere e mi guidò cortesemente a pavoneggiarmi davanti allo specchio. Quando alla fine arrivò, Mario si infoiò ancora più del solito e, prima di incularmi, mi fece andare avanti e indietro per la stanza, sculettando, alzandomi ogni tanto la gonna con un bastone da passeggio.
Io ero stato fulminato. L’esperienza con Mario pensavo sarebbe stata un’esperienza in più, non un momento nodale della mia vita. Quando mi ripensavo vestita da donna, mi sentivo fremere e l’essere posseduto da quel cazzo devastante mi sconvolgeva il cervello, oltre che l’intestino. Ero confuso, quindi, perché fino ad allora, per quanto trasgressivo, non avevo mai avuto dubbi sulla mia identità maschile. Ora ero a una svolta e non ero affatto sicuro della direzione che avrei preso.
A convincermi fu un’altra pensata di Anna. Questa volta eravamo in quattro. Oltre a noi tre Anna aveva invitato anche Vanda, una transessuale nera, alta, statuaria dotata di tutti gli attributi giusti al posto giusto; compreso un cazzo nerboruto di fronte al quale quello già immane di Mario sembrava un cannolicchio.
Vanda, appena arrivata, rivolse la sua attenzione quasi esclusivamente a me, chiamandomi Cara, Amore, Tesoro e cercando, in tutte le maniere, di mettermi a mio agio. Poi criticò discretamente il mio abbigliamento e mi invito sensualmente a farmi trattare da lei. Mi condusse in bagno e tacitò le proteste insistenti di Mario e Anna che avrebbero voluto godere di me immediatamente. In bagno Vanda portò i suoi trucchi e vestimenti che aveva scelto appositamente per me. Stemmo chiusi per quasi un’ora e quando uscii scortata da Vanda la crisalide era diventata farfalla ed io mi ero trasformata in una splendida femmina affamata di cazzo. Vanda mi teneva per mano, mi spinse a girarmi parecchie volte su me stessa e mi confessò di volermi consegnare a Mario e Anna, ma pretese lo jus primae noctis (disse proprio così) e, obbligatami ad assumere la posizione detta a pecorina, procedette ad incularmi. Io ormai, quando mi intrattenevo sessualmente con Anna e Mario, non avevo più bisogno di lubrificante sull’ano, che veniva trattato soltanto a saliva, ma Vanda, che aveva un pene di venticinque centimetri, clemente, provvide a cospargermi il culo di abbondante olio profumato. Quando cominciò ad infilarsi pericolosamente nel condotto, mi sembrò di essere sverginato ancora una volta, ma questa evenienza, insieme col dolore, indusse il piacere nostalgico ed evocativo della prima volta. Vanda mi sfondò il sedere. Mi fece chiedere pietà e mi fece supplicare di darmene ancora. Mi fece piangere, ridere, esaltare e poi, ridotta in uno stato quasi catatonico, mi lasciò in balia di Anna e Mario. Durante il prosieguo della seduta fui inculato anche da Mario che inculò anche Vanda che aveva meritato la sua attenzione. Anna, con il clitoride spellato dai ditalini, mi chiese, con voce flautata, di incularla con il mio cazzo che definì cortese e gentile. Alla fine eravamo completamente inseriti nella grazia di Dio, sconvolti ed estaticamente divisi dal mondo reale.
Quel giorno scelsi la via della mia prossima vita. Cominciai ad uscire di casa vestita da donna, senza più provare imbarazzo e, da poco tempo, ho cominciato ad assumere ormoni per trasformarmi in donna vera. Vanda mi aiuta. Anna e Mario mi coccolano. Mi sta crescendo un po’ di seno. Certo non è quello di Sofia Loren, ma mi sento sciogliere quando i maschi a spasso si voltano a guardarmi e qualcuno comincia a chiamarmi Fiorella.