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L’occasione

Non avevo mai pensato prima a mia madre come ad un oggetto sessuale.
Mai.

Certo, é bella, una piccoletta bionda e riccioluta, coi capelli corti e due zinne da urlo, gonfie e larghe. Quinta o sesta. Ama mettersi la lingerie vecchio stampo, ed ha le mani ed i piedi curatissimi.

Ma, se non fosse capitata quell’occasione, non so cosa sarebbe successo mai.

Forse niente.

Invece accadde l’imponderabile, e voglio raccontarlo.

A quel tempo, c’erano le prime connessioni gratis ad internet, pagavi cioè solo le bollette per quanto tempo stavi al telefono. In famiglia siamo tre e mio padre quasi tutta la settimana fuori per lavoro.

Succedeva però che arrivassero delle sleppe di telefono da pagare da paura, con cifre allucinanti.

Sul momento pensai che fosse colpa delle mie ore al Pc, tant’è vero che mio padre mi pregò di non collegarmi più per un periodo per vedere se era proprio la Rete a causare tante cifre. Cifre folli.

Mia madre non parlava, è sempre stata una donna umile e riservata, senza grilli per la testa e attenta solo alla famiglia. So che non era indifferente agli uomini, e – ripeto – con un corpo così non poteva essere altrimenti.

Passò del tempo e le cifre si alternavano tra alti e bassi, ma sempre con un totale in lire molto alto.

Fui proprio io a scoprire ciò che succedeva.

Lo scoprii in maniera incredibile.

Era un po’ di tempo che mi capitava di tornare dal lavoro e di notare mia madre che buttava giù il telefono appena entravo, e la trovavo scossa e nervosa. Li per li non ci avevo badato, ma poi, causa le bollette e il fatto di non potermi collegare, avevo deciso di investigare un po’. Se mi fossi sbagliato tanto meglio.

Controllai per un po’ mia madre e il suo fare strano, in casa mi muovevo come un fantasma e rientravo senza fare rumore. Ci vollero mesi, ma alla fine scoprii mia madre al telefono mentre parlava con una di quelle cialtrone in tv che pronosticano il futuro e ti fanno le carte! Non ricordo se era un 166 o un 899, ma so perfettamente che appena scoperta capii da dove venivano quelle bollette astronomiche.

Non seppi perché, ma al momento della scoperta sentii una strana eccitazione.

Ero oltremodo arrabbiato per il fatto che avessero ritenuto me il colpevole per le connessioni ad Internet, mentre era lei, mamma, a stare al telefono con quelle ciarlatane.

Ero arrabbiato.

Irruppi in camera sua e la vidi attaccare la cornetta come al solito. Ma sullo schermo era ben visibile la pubblicità di quella demente di fattucchiera, quindi non poteva negare.

Non dissi niente, ma lei piagnucolò dicendo che si sentiva frustrata, annoiata, insomma, mi raccontò la nota storiella sulle casalinghe depresse!

“Va bene”, dissi io, “ma come si fa? Per colpa tua papà mi impedisce le connessioni ad Internet, e…”, lei apparve disperata. D’altra parte si trattava di centinaia e centinaia di mila lire, mica bruscolini.

Mi pregò di non dire niente a mio padre, che per lei quella delle chat line astrologiche era una specie di droga e così via, che era depressa, senza futuro…

Non potevo immaginare tutto ciò, lei non me ne aveva mai dato adito.

Io ero sempre sulla porta, in piedi, interdetto.

Mi prese le mani e mi chiese di giurare che non lo avrei detto a nessuno.

“Non lo so, mamma…è una cosa grave…”

Lei piagnucolava. “Lo so, tutti quei soldi…siamo rovinati, ma se glielo dici perdiamo proprio tutto!”

Io riflettevo.

Era la prima volta che mia madre mi dava così confidenza, arrivando a stringermi le mani. Dall’adolescenza in poi mi aveva educato in maniera cattolica e molto puritana, affettuosa ma senza confidenze.

Io tentennavo ancora.

“Ti prego!”, cedette lei, “sono disposta a tutto pur di mantenere il segreto!”

Ecco, quella cosa scatenò in me qualcosa di nuovo, di diverso.

Le infilai una mano sotto la camicia da notte e le palpai il culo con la mano destra. Era rotondetta data l’età, molto più di quaranta, ma sentii la pelle fresca e appetibile. Portava le calze, me ne accorsi sfiorandole le gambe con la mano.

Questa cosa qui la scioccò non poco. Aveva gli occhi ancora bagnati per essere stata scoperta in flagrante che dilatò le pupille sorpresa da questa mia mossa.

“Ma…” balbettò.

Io guardai alle mie spalle. “Sssttt!”, le intimai. “hai fatto proprio un guaio!”

Lei intanto si era sfilata dal mio palpeggiamento e si era fatta indietro. Io avevo un’erezione terribile, e mi ero portato una mano all’altezza della patta. Fu come se mi accorsi, veramente, di quanto mia madre potesse essere bona.

Era li, davanti a me, in camicia da notte, col rigonfiamento delle tettone e i piedini nudi, perfetti, che correvano scioccata di la. La seguii.

“Vattene eh!”, mi disse mettendo le mani avanti. Questa cosa, la situazione che si era venuta a creare, mi aveva eccitato mostruosamente. Potevo approfittarne per scopare mia madre, per scopare qualcuno con delle grosse belle tette. Le grosse tette sono da sempre la mia fissazione.

Si, le avevo sempre avute in casa che gironzolavano dalle scollature di mamma, ma io ne avevo percezione solo allora.

Tentai di non perdere il polso della situazione. Tentai di calmarla a gesti. Lei girava attorno al divano.

“E non permetterti di toccarmi più, porco che non sei altro! Maiale, sei mio figlio!”

“Sono tuo figlio, però non avevi scrupoli nel dilapidare un patrimonio con le chat!”

Questa frase la colpii.

“Ma come hai fatto, mamma? Ti ho sempre pensato come una donna di casa modello!”

Lei piangeva. Si mise una mano in testa.

“Ma tu guarda che situazione, che situazione! Papà non lo deve sapere!”

Mi riavvicinai. “E chi glielo dice? Glielo posso dire solo io! Certo, ci vorrà un po’ per pagare tutto, e tu intanto, fino ad allora, starai un po’ con me…ma che ti costa?” le accarezzai la schiena. Le feci venire i brividi. Il tessuto della camicia da notte sotto i polpastrelli era come un afrodisiaco, per me.

“Ancora? Ma non ti vergogni, non ti fai schifo…?”

Le presi una mano e me la misi sulla patta gonfia.

“Ma senti qui, mamma, guarda l’effetto che mi fai…”

“Che schifo, che orrore, tu non sei normale!”

“Manco tu, se hai bisogno delle chat per essere serena.”

Piangeva. “Ma insomma, che vuoi, che vuoi da me, porco…?”

Non è che avessi molto in mente, non ero preparato a scoparmela a dovere. Così la misi seduta sul divano.

“Dai”, le dissi sussurrando eccitato, “toccamelo…toccamelo un po’…”

“Ma Dio, Dio mio…”

Le carezzai la testa.

“E dai, solo un po’, appena appena…”

Mi aprii i calzoni e feci scorrere fuori il cazzo. La cappella era violacea, non ne poteva più di stare compressa nelle mutande e nei jeans. Appena visto l’uccello di fuori, mia madre si mise una mano in testa. “Ma guarda tu, guarda tu questo…”

“E dai mà, sentilo un po’…solo con la mano…”

La guidai prendendole la mano e appoggiandola sulla cappella. Aveva le mani fresche e asciutte, da brava donna di casa. Manine piccole con le unghie curate.

Era seduta vicino a me e lo teneva con la mano destra chiusa a pugno.

Appena me lo afferrò iniziai a godere. Che bello, che sensazione fantastica.

L’idea che mia madre fosse li, la santarellina, costretta a stare col mio cazzo in mano mi mandava ai pazzi.

Le sfiorai le labbra con un dito e la spinsi a muovere la mano.

Mi fece una sega, quella notte. Me lo dimenava e io sentivo le palle sbattere sulla sua mano per lo stantuffare, per farle sentire quanto mi piacesse mugugnavo e lanciavo gridolini di piacere. “Ah”, le dicevo, “ma-mamma…”

Purtroppo non riuscii a venire poiché squillò il telefono e a tutti e due venne un colpo. Lei schizzò via rossa in volto ed io andai in bagno a scaricarmi da solo.

Ma ero certo che fosse mia, in mio pugno. Ero eccitatissimo dalla situazione che si era venuta a creare, dal colpo di fortuna che poteva farmi disporre del corpo procace di mia madre. La notte fantasticai sulle sue tette e sulle fattezze della sua fica, e su come le piaceva scopare, e fui costretto a masturbarmi furiosamente ancora. Dovevo scoparla, battere il ferro quand’era caldo.

Lei apparve ancora più depressa di prima, quando c’era mio padre non mi guardava nemmeno negli occhi, umiliata, e lui era sempre più agitato per via del debito accumulato. Questo giocava a mio favore.

Ma dovetti attendere ancora tre, interminabili giorni. Quando finalmente il babbo si fu tolto di mezzo per il suo lavoro, io di sera ero seduto sul divano, e la chiamai immediatamente. Lei mi evitava, ma doveva sapere che quella sera avrebbe pagato il suo debito, o almeno parte di quello.

Dovetti chiamarla più di una volta, e quando spuntò dalla sua camera, mi trovò già col cazzo in mano. Lei chiuse gli occhi e sembrò rassegnata.

“Mamma”, giocai, “dai, finiamo quella cosa dell’altra volta…”

“Che orrore, che orrore…” mormorò lei sedendo vicino a me. Io la invitai a inginocchiarsi per terra, davanti a me. Lei sgranò gli occhi timorosa.

Aveva indosso un accappatoio asciutto, segno evidente che intendeva andare a farsi una doccia. Le accarezzai le spalle.

“Su, mettiti giù…”

Riluttante si mise in ginocchio davanti a me. Io le sfilai le ciabatte perché volevo vederle i piedi nudi stare in quella posizione. Glieli accarezzai. Quando mi piacevano i piedini perfetti di mia madre. Sorridevo.

Le sbattei la cappella sulla guancia, sulle labbra. Lei muoveva il viso in segno di diniego, la cosa doveva umiliarla moltissimo.

Alla fine le accarezzai la nuca e glielo ficcai in bocca. Mi accorsi subito che non doveva essere una gran pompinara, non era proprio specializzata, così le ordinai di leccarlo come fosse un gelato. Lo fece. Teneva gli occhi chiusi per la vergogna e lo leccava facendo rumore. “Ahhhhh”, che goduria incredibile. Che bello. In quel momento avrebbe potuto cadermi il mondo addosso che non me ne sarei accorto. Le accarezzai i capelli e il viso, mi scorsi per vedere il movimento della lingua sulla mia cappella e sull’asta.

“Pompinara…” mormorai, e lei iniziò a piangere, “che pompinara…” ero eccitatissimo. Glielo infilai di nuovo dentro la bocca, dicendogli di massaggiarmi le palle. Me lo succhiò. Sentivo il rumore della succhiata e vedevo che aveva le labbra umide. La guancia che si gonfiava ogni volta che succhiava mi arrapava da bestia.

L’idea che una donna così morale e riservata fosse li, in ginocchio sul pavimento a farmi un pompino era una cosa indescrivibile.

Alle volte la fermavo tenendola per la testa ed ero io ad andare dentro e fuori la bocca, come se le scopassi la gola, ed infine venni.

Una sborrata inaudita, fatta da cinque / sei fiotti. Le andarono dappertutto, sulla testa, tra i capelli, sulla gola e sulle mani. E ovviamente in bocca.

Avevo goduto come un matto.

“Ingoia!” le gridavo, “ingoia tutto, pompinara del cazzo!”

Lei chiuse la bocca e mi leccò bene il buchino dalla sborra. Le usciva dagli angoli della bocca, come ad una zoccola.

Era mia madre.

Appena fui rilassato mi sbracai sul divano con le braccia divaricate e i calzoni calati. Come estasiato. Lei si era alzata di corsa ed era andata in camera sua. La sentii piangere. Avrei voluto entrare subito e scoparmela a sangue, ma avevo timori, titubavo.

Per quello dovetti attendere il fine settimana.

Intanto la situazione a casa era infernale. Mio padre parlava con me ma non con mia madre, mia madre non parlava con mio padre e quando eravamo soli mi apostrofava con “schifoso”, “mostro”, “bestia e animale”.

Ma io ero sempre eccitato, sempre in tiro. Non volevo sbagliare una mossa.

In quel fine settimana, dicevo, papà dovette assentarsi sul serio, scese giù in Sicilia, mi pare, e a pranzo mia madre mi sbatté le cose sui piatti. Sapeva anche lei. Sapeva che quella notte eravamo soli.

La trovai verso le nove in camera sua, completamente nuda e stesa a pancia in su. Forse aveva preso qualche calmante. Si era preparata, come ad immolarsi per me. Avrei voluto spogliarla io, lentamente, scoprirla a poco a poco perché volevo gustarmi il mio gioco in tutto e per tutto, ma tant’é.

Aveva queste due grosse mammelle rosa dai capezzoli scuri con larghe aureole, le gambe chiuse e la peluria bionda, a punta verso l’ombelico, e verso di me stavano i piedini, fermi ed immobili.

Il cazzo sembrava sfondarmi il pigiama.

Non sapevo da che parte incominciare.

“Mamma”, rantolai…”animale,” singhiozzò lei in tutta risposta. Mi avvicinai al letto e le presi una mammella tra le mani. Che sensazione da panico. Era grossa e morbida, fresca e profumata. Con l’altra mano mi tastai le palle gonfie. La tetta non mi entrava nella mano, così mi abbassai e iniziai a baciarla sulla fronte, sulle guance, sugli occhi, volevo mangiarla tutta, pezzo a pezzo. Lei iniziò a singhiozzare silenziosamente. La baciai finalmente sulla bocca e mi sembrò la cosa più bella e naturale del mondo. Siccome stava piangendo le labbra erano secche e dure, baciarle fu bellissimo. Gliele morsicavo e riprendevo a baciargliele. “Che fica…” le sussurrai, “che fica che sei…” gli stavo leccando le labbra e intanto le accarezzavo le spalle, la pancia. La pancia era dolcissima, non aveva neanche una smagliatura. Solo un po’ rotondetta. Le baciai la gola e il collo, intendevo metterci tutta la notte, non avevo fretta. Le morsi le spalle e sentii che le veniva un brivido. Quando giunsi alle mammelle e gliele ciucciai, mi accorsi di aver perduto un po’ di sborra, che era finita sul letto. Passai la lingua sul bordo dell’aureola, mugugnando e ansimando di piacere, volevo sentisse che me la godevo un mondo ,che me la godevo tutta. Chissà quanti avrebbero voluto tastare e baciare le tette di mia madre al mio posto.

Che tette stupende.

“Che meloni che hai”, le dissi infatti tastandoli entrambi, poi ripresi a baciarli lentamente, le succhiavo i capezzoli con gesti studiati, ipnotici, mettevo la punta tra le lebbra e la succhiavo goloso, insaziabile. Si erano induriti e ora si leccavano e baciavano che era una meraviglia. Affondare le mani in quelle mammelle era così bello che mi veniva voglia di strizzarle fino a farle male, e lei, che non voleva darmi soddisfazione, gemeva un po’ e si lamentava.

Intanto le avevo aperto un po’ le gambe con la mano libera e le carezzavo la fessura della fica.

Era calda e umida. Che sensazione. Lei teneva le gambe strette e questo mi dava più soddisfazione. Le passai il dito medio proprio sopra la fessura e lei si mosse. Era inevitabile.

La leccai dappertutto, veramente, le feci un pigiamino di saliva. La leccai sulla pancia, le baciai l’ombelico e poi scesi intorno alla fica, ma non la ispezionai. Scesi ancora giù e presi a baciarle e leccarle i piedi. Quegli splendidi piedini fatati. Calzava la 37, piedi veramente magnifici. Le alzai una gamba e le leccai tutte e due i piedi, con la presborra che mi scendeva a fiumi dal cazzo, le morsi l’alluce e il tallone, la leccai tra le dita e gliele succhiai una ad una. Li avrei mangiati, i piedi di mia madre.

Lei si era umiliata tantissimo, e quando la tenevo con la gamba per aria per succhiarle le dita dei piedi, si era messa un braccio davanti alla faccia, quasi per coprirsi.

La presi per il collo e la costrinsi a mettersi seduta. Lei ancheggiò per sedere sul bordo. Le passai una mano attorno ai fianchi e la baciai con la lingua. Fu un bacio bellissimo, arrapantissimo, nel quale riuscii anche a succhiarle la lingua.

Mia madre non poteva mai aver sospettato quanto mi piacesse, quanto mi arrapasse.

Ed io nemmeno!

Le dissi qualcosa all’orecchio sussurrando, ma lei credo non udì. La baciai ancora strizzandole una tetta. Dio, gliele avrei strappate, tanto mi arrapavano! Mentre la baciavo mugolando le passavo un dito a cerchio sul capezzolo, le chiudevo lo stesso tra indice e pollice e poi gliela tastavo a mano aperta.

Era mia. Completamente.

E glielo dissi baciandola con la lingua. “Sei mia…”

La misi sdraiata sul letto pancia in su, con il bacino che sporgeva dal letto, e la fica verso di me. Mamma guardava il soffitto.

Le allargai la vagina con le dita, e mi accorsi di un po’ di miele che impiastricciava le labbra. Dio, era così dolce, mia madre, che era impossibile non desiderare di strapazzarla un po’.

Le diedi la prima leccatina sin su al clitoride, tanto per vedere l’effetto che avrebbe fatto, poi spinsi la testa sulla fica e gliela leccai voluttuosamente dappertutto, muovendo la lingua in su e in giù a destra e e a sinistra dando leggeri colpetti al clitoride e ficcandola poi dentro. Le leccai anche il buco del culo nero che vedevo accanto a me. Lei sussultò. Glielo leccai a lungo e con ardore, leccai il buco del culo di mia madre.

Bellissimo.

Le morsi anche le cosce e il sedere, l’inguine e i fianchi.

Dappertutto.

Poi saltai sul letto, mi sdraiai e la presi.

Lei era servizievole, non muoveva un muscolo.

Me la posizionai sul cazzo, sopra di me, che mi dava la schiena, e glielo misi dentro tutto, sino alle palle.

L’afferrai sui fianchi e cominciai a scoparla. La sbattevo su e giù, sentivo che aderiva completamente alla mia nerchia e vedevo il movimento delle mammelle che ondeggiavano e sbattevano sotto i colpi del mio cazzo.

Godevo così tanto che non sapevo dove metterle le mani. A volte sui fianchi a volte mi tenevo sul letto, a volte le strizzavo i seni dondolanti. Lei si teneva a me oppure al materasso, e gemeva sussurrando.

Che scopata.

“Non…non venirmi dentro…” disse finalmente con rabbia, ma ormai io stavo bello per venire. Lei tentò di scavalcarmi ma io la tenni ferma e le sborrai dentro. Gridai dal godimento e lei pure gridò. Ma deposta sul letto mi accorsi che piangeva.

“Su,” le dissi eccitatissimo e sudato, “che non abbiamo finito…”

Mi misi in ginocchio sul letto e le spinsi la testa verso il mio cazzo, ancora durissimo. Lei singhiozzava e vedevo bene le lacrime.

La presi per il collo e glielo feci succhiare.

Mentre lo succhiava io le aprivo la fica con due dita oppure le palpavo le zinne. La vedevo da sopra che faceva su e giù con la testa e il mio cazzo tra le labbra.

“Puliscilo, troia, puliscilo tutto!”, non che volessi offenderla, ma lo dicevo tanto per eccitami ancor di più. Si, insultarla mi eccitava da matti.

“Troia!” dissi ancora prendendole la nuca.

Le passai dietro, l’afferrai per i fianchi e la misi a pecora. Lei protestò quasi subito.

“No, così no, così non voglio!”

“Zitta!” le dissi io palpandole il culo, “non ricordi quello che hai fatto col telefono? Vuoi rovinare una famiglia, tutto?”

“Nooooooooo” piagnucolò lei.

Presi il vasetto di vaselina dalla giacca del pigiama (si, previdente lo avevo comperato la mattina stessa) e gliene spalmai un po’ sul buco del culo.

Lei, ogni tanto, si voltava a guardare.

“ma perché…?” piagnucolava, “perché?”

Intanto le infilai la cappella in culo.

Lei gridò.

Iniziai a cavalcarla, piccolina com’è incularla era uno spettacolo. Aveva il culo stretto e duro, e sbatteva il piede sul letto ogni volta che affondavo il colpo. Non doveva averlo mai preso li. Ma non lo so.

“Puttana…” le dissi con la bava alla bocca, “fai le telefonate costose, tu, vacca…puttana…troia!”

Lei ricominciò a piangere, io le strizzai le tette davanti. “Guarda cosa ti fa tuo figlio per quel vizietto…” le misi le mani sui fianchi e infilai il cazzo sino alle palle. “Guarda come ti incula per quelle telefonate…”

La cavalcai a lungo, non so per quanto…era bellissimo, sodomizzare mia madre sul suo lettone e strizzarle i seni era una cosa che non avrei mai potuto immaginare. Di colpo, per non forzare troppo, la voltai sulla schiena e la feci mia nella classica posizione del missionario. Volevo vederla in faccia mentre le venivo dentro di nuovo. Lei piangeva e mugolava.

Faceva: “Uhuuuuuuuuuuu” ed io la scopavo forte, baciandola sul collo e sulle labbra, sui capezzoli e sulle spalle. Alla fine le scaricai di nuovo dentro. Un’altra sborrata a litri!

Ecco, appena finito, vedere mia madre di nuovo pancia in su a guardare il soffitto, mi venne un senso di rigetto, di nausea.

Mi passò presto, e lei sapeva che quello era solo l’inizio, lo lesse nei miei occhi quando presi il barattolo di vaselina e lasciai la stanza.

Infatti presi a scoparla con regolarità, la mamma piccolina, almeno due / tre volte alla settimana. La scopavo in tutte le posizioni e dappertutto, in bagno, in camera sua, in camera mia, in salotto. Lei sempre muta, arresa, sconfitta. Però con quel sistema le permettevo di telefonare ancora alle chat line, unica sua valvola di sfogo.

Le facevo fare le cose più strane e umilianti.

Una volta, ad esempio, la costrinsi a farmi un pompino mentre ero sulla tazza del cesso ed avevo finito da poco di cagare, oppure le legavo le tettone con gli spaghi e le mettevo i morsetti sui capezzoli per farla gemere un po’.

Era la mia troia.

Un giorno le dissi che l’avrei scopata con un mio amico, che lei conosceva da anni. Un certo Antonio. Un amico di infanzia. Dopo settimane di questa storia avevo confidato ad Antonio che costringevo mia madre, con un ricatto, a darmi la fica e il culo, e lui si era arrapato tantissimo. Mi disse che le tette di mia madre lo facevano impazzire da quando era piccolo, e che la sbirciava continuamente d’estate, quando mamma ci portava al mare ed indossava il costume che evidenziava le grosse zinne. Inutile dire che la sera dopo il racconto l’avevo scopata con foga e da quel momento non avevo altra idea in mente che farla scopare da Antonio; esaudire il suo sogno.

Lei prese male la notizia, ebbe una crisi di nervi nella quale spaccò tutto il servizio di porcellana e qualche soprammobile, ma sapeva bene che avrebbe dovuto accontentarmi anche stavolta.

Anzi, siccome io ed Antonio eravamo appassionati di lingerie e di sottovesti sexy, le costrinsi a vestirsi come dicevo io, come arrapava a me.

Diedi appuntamento ad Antonio per la sera a cena, e si vedeva subito che lui guardava mia madre con un’altra luce negli occhi. Stavo per esaudire uno dei suoi sogni più profondi.

Il fatto che mamma fu costretta a servirci la cena in attesa di essere scopata da due cazzi, mi fece ribollire il sangue nelle vene. Da quando era iniziata questa storia non ero mai stato così eccitato.

Quando mia madre portò via i primi piatti, Antonio cominciò a dirle cose pesanti ed arrapanti, tipo: “signora, spicci bene che dopo le sborriamo in culo e in vagina, lo sa?” oppure le metteva le mani sotto la gonna per tastarle cosce, culo e fica. Le diceva: “signora, sogno di scoparla e di tastarle quelle belle tettone da quando sono un moccioso…” e la cosa lo faceva gonfiare sulla patta. Io pure temevo di sborrarmi nei calzoni.

Il fatto che mamma non potesse metterlo al posto suo era seducente da morire.

Dopo un po’, siccome entrambi non ne potevamo più, non aspettammo neppure la fine della cena. La circondammo, io dietro e lui davanti, ed iniziammo a palparla pesantemente. Mamma era piccola in mezzo a noi, dopo mezzo secondo aveva già un capezzolo e il culo di fuori! Io le stavo baciando il collo e le tenevo le mani sotto la gonna, godevo nel sentirle le calze e il reggicalze che le avevo fatto indossare, mentre Antonio non aveva perso tempo: voleva vederle le mammelle. Quando le afferrò con entrambe le mani mi guardò come a dire: fantastico, non immaginavo così! Ed io sorrisi.

Cominciò a succhiarle le zinne ed a baciargliele tutte, le faceva male strizzandogliele e mamma protestò soffocatamene, ma Antonio era troppo arrapato. Le mordeva i capezzoli e potevo sentire la stretta su di lei. Mamma era livida. “Puzzi…” gli disse piano ad Antonio, “sei una bestia come mio figlio!”

Inutile dire che questa frase arrapò Antonio ancora di più, che spinse mia madre in basso cacciandole il grosso membro in bocca. le teneva il cazzo in bocca e reggeva i calzoni sbottonati con la mano, mentre l’altra la teneva sulla testa di mia madre, spingendola a fare un bocchino. La spingeva forte giacché mamma soffiava e mugolava. Antonio le dava della puttana e della pompinara, mentre io, eccitatissimo, finivo di spogliarla. Le lasciammo addosso solo calze e reggicalze, le togliemmo ovviamente le scarpe. Andai vicino ad Antonio e mi feci spompinare assieme a lui, mamma succhiava ora l’uno ora l’altro, baciava e leccava qui e la, e filini di sborra la univano alle nostre cappelle. La spingemmo verso il divano, facendola sedere tra noi due. La toccammo e baciammo a lungo, masturbandola, mordendole i capezzoli o costringendola a baciarci con la lingua, era così piccola che con le mani potevamo accarezzarla in breve tempo ovunque. Le mettemmo i cazzi in mano e ci facemmo fare una sega, mentre noi la baciavamo e le succhiavamo insieme i capezzoloni; Antonio amava star a guardare mamma che gli faceva una pippa, la apostrofava e la offendeva, le dava della puttana e le tirava i capezzoli per farle male.

Mamma non vi badò, voleva solo finire. Ma non finimmo presto. Antonio cominciò a chiavarla stando seduto con lei sopra, rivolta verso di lui, la scopava e intanto le baciava in bocca. Io da dietro, le tenevo le tette. Era fantastico. “Ti piace?” le chiedevo ben sapendo la risposta, era tanto per mettere più pepe alla cosa. “Ti piace eh?” insistetti. Antonio era svelto a venire, mi accorsi che aveva già sborrato dalla macchia sul divano: d’altronde erano più di quindici anni che aspettava. Girò mia madre e glielo infilò rapidamente in culo. Mamma stava con i piedini sulle ginocchia di lui e la testa all’indietro perché quella sodomia la faceva soffrire un po’. Ora dava le spalle ad Antonio e così io potevo baciarla in bocca e scendere sino a succhiarle i seni mentre la scopava. Da brivido. Da estasi senza fine. Le aprii la fica con la mano, gliela spalancai.

Mentre la inculava a smorzacandela, e Antonio gridava come un matto dal godimento, salii sulla spalliera del divano e decisi di metterlo in bocca a mia madre così da tenerla impegnata mentre Antonio la inculava. Venni dopo pochi secondi. Le venni in bocca e sulle tette. Fu il mio turno di scoparla, tenendola in piedi con una gamba poggiata sul divano per favorire la penetrazione. Scoparla con tutta quella lingerie addosso mi diede un altro sapore. Antonio era andato a prendersi da bere, ed io sentii mamma di nuovo mia, solo mia. Di ritorno, Antonio versò un po’ di birra sulla topa di mamma e prese a leccargliela tutta, ridendo, ed io la tenevo da dietro divertito. Poi la portammo in camera da letto.

Quel profumo e quell’ordine ci arraparono come cani. La mettemmo sul letto, in mezzo a noi sdraiati, ed Antonio, sotto, glielo metteva in fica, mentre io la inculavo per bene. Ritmicamente, insieme, in ogni orifizio. Un sandwich da sballo. Mamma gemeva e si lamentava, ogni tanto singhiozzava, ma la posizione si faceva scomoda e così cambiammo. Sdraiammo mamma sul letto e la costringemmo a prenderci i cazzi in mano. Noi le alzammo le gambe e le succhiammo le dita dei piedi da sopra la calza, lasciando scia di saliva sul tessuto in seta. Le toccavamo la fica insieme, con due mani, e questa si era arrossata e irritata. La sodomizzai ancora alla pecorina, mentre Antonio seduto sul letto a gambe larghe, glielo faceva succhiare. Ormai aveva il buco del culo aperto e arrossato, poiché non avevo usato alcun unguento, e fremeva e sudava gemente. Dopo un cenno di intesa ci alzammo in piedi sulle lenzuola e le venimmo in bocca, con le cappelle ad un centimetro dalle labbra. Tanto e caldissimo, le facemmo una vera doccia di sperma.

La ricoprimmo come una troia.

La mia troia.

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