Tre anni fa circa, durante una sosta in uno chalet sul lungomare ebbi la fortuna di conoscere una donna di una bellezza straordinaria. Nome: Esmeralda – Età: ventuno anni – Fisico: da danzatrice gitana, alta, snella – Occhi verdi – Castana, Capelli lunghi e crespati – Seno: piccolo e sodo – Molto pronunciato – Capezzoli: due more – Non avrebbe bisogno del reggiseno – Suscita desideri non pronunciabili. Insieme ad Esmeralda conobbi anche sua madre. Si chiama: Milady. Una donna che farebbe perdere la testa anche ad un eunuco. Trentasei anni – Bionda: capelli corti – Occhi Celesti – Corpo disegnato da un’artista – Bocca con labbra carnose: modellate per baciare ed essere baciate – Le gambe: lunghe ben tornite – Tette: sembrano due piramidi proiettate in avanti – Capezzoli: due ciliegie – Frequenta palestre per tenere il fisico sempre in forma. In seguito seppi che era una donna libera: non aveva legami con nessuno. In un solo giorno ho conosciuto due splendide donne. Entrambe radiose. Restai rapito dalla loro bellezza. Le desiderai entrambe. Al momento riuscii a conquistarne solo una: Esmeralda con cui andai a vivere insieme in un appartamento del centro. La convivenza con Esmeralda non mi fece dimenticare la madre. Non potevo perché la vedevo quasi tre volte in una settimana. Ed ogni volta era un calvario. Sono trascorsi tre anni circa. Non che non ami Esmeralda, anzi al contrario: trascorrerei intere giornate a stare a parlare con lei, a fare sesso e tutto quanto è concesso con una donna che si ama. Molte volte, però, mi sono masturbato pensando a sua madre. Con il pensiero l’ho posseduta, in tutte le posizioni raffigurate nel kamasutra ed anche in quelle non descritte. Non ho vergogna a dire che qualche volta, quando ho fatto sesso con Esmeralda, ho pensato che stessi fottendo Milady. Era una situazione assurda: la desideravo, la volevo e la morale corrente non me lo consentiva perché si trattava della madre della mia compagna. Ripeto amavo e desideravo Esmeralda e non avevo nessuna intenzione di lasciarla, ma desideravo anche sua madre. Dovevo uscire da quella situazione. L’occasione capitò quando una domenica, sul tardi, Esmeralda mi chiese il favore di accompagnare la madre: era venuta a pranzo da noi. Accettai e in auto durante il tragitto, che cercai di allungare il più possibile percorrendo strade e vicoli mai fatti per raggiungere la casa di Milady, con il coraggio dei timidi, parlai. Usai un linguaggio crudo e termini osceni. Lo feci perché volevo che fosse ben chiaro quello che pensavo e sentivo per lei. Le dissi che ero innamorato di lei. Che la desideravo, volevo baciarla ed essere baciato. Desideravo sentire la sua bocca succhiare il mio pene. Volevo carezzare il suo splendido seno; infilarci in mezzo il fallo e farmi masturbare. Stringere tra i denti i suoi capezzoli, succhiarli, strizzarli. Ardevo dal desiderio di vedere il suo buco del culo, baciarlo e penetrarlo. Al solo pensiero di leccare e penetrare con la lingua la sua figa mi sentivo tutto bagnato. Volevo stringere tra i denti il suo clitoride e tirarlo fuori per tutta la sua grandezza per poterlo meglio succhiare. Chiavarla sarebbe stato raggiungere le vette più alte della terra. A volte ho chiavato sua figlia pensando di fottere lei. Mi masturbavo con l’immaggine della sua bocca sul mio pisello o con questo dentro il suo culo. Ecco adesso sapeva. Per tutta la durata di quel “discorso” non disse niente e non ebbe nessuna reazione. Arrivati nella strada dove abita fermai la macchina, lei aprì la portiera e prima di scendere disse: che si era accorta che stavo allungando il percorso ed aveva avuto paura. Ascoltando le cose che avevo detto aveva temuto che la volessi violentare. Il timore le era rimasto fino a quando non erano giunti a destinazione. Che sapeva. Da innumerevoli segnali aveva immaginato e poi convintasi che la desideravo. Risposi che non le avrei mai fatto del male e che non la vedevo come una suocera e quindi: ”mamma”; anche se con una mamma come lei sarei stato capace di avere un rapporto incestuoso. Assunse un espressione di incredulità e chiese se a tanto giungeva il desiderio che avevo per lei. Risposi: sì. Mi diede del malato. Disse che per tranquillità non avrebbe detto niente alla figlia. Uscì dall’auto, andò verso il palazzo, l’aprì, entrò, e sparì dietro il portone che si richiuse alle sue spalle.