La vita di guarnigione nel Nord della Russia in tempo di pace lascia molto tempo libero. L’esistenza del militare si divide tra caccia e doveri mondani. La caccia aveva scarse attrattive per me, e le mie occupazioni mondane si potevano riassumere in questa formula: conquistare Florence, che amavo e che non mi amava. Fu una dura fatica. Soffrii mille morti, perché Florence mi detestava sempre più, si burlava di me e flirtava con cacciatori d’orsi bianchi, con mercanti scandinavi e, addirittura, un giorno, quando una miserabile compagnia francese d’operetta venne a dare delle rappresentazioni nelle nostre brume remote, sorpresi Florence, durante un’aurora boreale, pattinare mano nella mano col tenore, un caprone ripugnante di Carcassonne. Ma io ero ricco, signore, e le mie proposte non erano indifferenti al padre di Florence che, finalmente, sposai. Partimmo per la Francia e, in viaggio, lei non mi permise mai neppure di baciarla. Arrivammo a Nizza in febbraio, durante il carnevale. Affittammo una villa e un giorno di battaglia dei fiori Florence mi annunciò che aveva deciso di perdere la verginità quella sera stessa. Io credetti che il mio amore stesse per essere ricompensato. Ahimè! il mio calvario voluttuoso era appena agli inizi. Florence aggiunse che non ero io ad esser stato scelto per adempiere a tale funzione. ”Voi siete troppo ridicolo” disse “e non ci sapreste fare. Io voglio un francese, i francesi sono galanti ed esperti in amore. Sceglierò da me il mio penefattore durante la festa”. Abituato ad obbedire, chinai la testa. Andammo alla battaglia dei fiori. Un giovanotto dall’accento nizzardo o monegasco fissava Florence. Lei volse la testa sorridendo. Io soffrivo più di quanto non si soffra in alcun girone dell’inferno dantesco. Durante la battaglia dei fiori lo rivedemmo. Era solo, in una vettura ornata da una profusione di fiori rari. Noi eravamo in una carrozza in cui si impazziva, poiché Florence aveva voluto che fosse interamente decorata di tuberose. Quando la vettura del giovanotto incrociava la nostra, lui gettava fiori a Florence che lo guardava amorosamente lanciandogli mazzetti di tuberose. Infine, ormai stanca, lanciò a piena forza il suo bouquet, i cui fiori ed i gambi, molli e vischiosi, lasciarono una macchia sul vestito di flanella del bellimbusto. Subito Florence si scusò e scendendo senza tante cerimonie salì sulla vettura del giovane. Era un nizzardo arricchitesi col commercio dell’olio d’oliva che gli aveva lasciato il padre. Prosper, questo era il nome del giovanotto, ricevette mia moglie senza molti complimenti e alla fine della battaglia la sua vettura ebbe il primo premio e la mia il secondo. La musica suonava. Vidi mia moglie tenere in mano il palio vinto dal mio rivale, che lei baciava a piena bocca. La sera volle assolutamente cenare con me e con Prosper, che fece venire nella nostra villa. La notte era splendida ed io soffrivo. In camera da letto, mia moglie ci fece entrare entrambi, io triste da morire e Prosper assai stupito e un po’ a disagio per la sua buona sorte. Lei mi indicò una poltrona dicendo: ”Assisterete a una lezione di voluttà, cercate di trame profitto”. Poi disse a Prosper di spogliarla; e lui lo fece con una certa grazia. Florence era affascinante. Le sue carni sode, e più tornite di quanto si potesse supporre, palpitavano sotto la mano del nizzardo. Si svestì anche lui e il suo membro era dritto. Mi accorsi con piacere che non era più grosso del mio. Era anzi più piccolo e puntuto. Era insomma un vero cazzo da pulzelle. Erano entrambi incantevoli; lei, ben acconciata, con gli occhi scintillanti di desiderio, rosa nella sua camicia di pizzo. Prosper le succhiò i seni che spuntavano simili a colombe tubanti e, passandole la mano sotto la camicia, la menò un poco mentre lei si dilettava ad abbassargli il cazzo e a lasciarlo andare, facendolo schioccare contro il ventre del giovanotto. Io piangevo nella mia poltrona. All’improvviso Prosper prese mia moglie tra le braccia e le sollevò la camicia da dietro; apparve il suo bei culo tondo pieno di fossette. Prosper la sculacciò mentre lei rideva, e su quel posteriore le rose si mescolarono ai gigli. Ma presto si fece seria dicendo: ”Prendimi”. Egli la portò sul letto e udii il grido di dolore che mia moglie lanciò quando l’imene, lacerandosi, ebbe liberato il passaggio al membro del suo conquistatore. Non avevano più alcun riguardo verso di me, che singhiozzavo godendo tuttavia del mio dolore, poiché, non facendocela più, avevo tosto estratto il mio membro, e me lo menavo in loro onore. Fecero l’amore una decina di volte. Poi la mia signora, come se si accorgesse allora della mia presenza, mi disse: ”Vieni a vedere, maritino mio caro, il bei lavoretto che ha fatto Prosper”. Mi avvicinai al letto col cazzo all’aria, e mia moglie, vedendo il mio membro più grosso di quello di Prosper, concepì per costui un grande disprezzo. Me lo menò dicendo: ”Prosper, il vostro cazzo non vale nulla poiché quello di mio marito, che è un idiota, è più grosso del vostro. Mi avete ingannata. Mio marito mi vendicherà. André,” cioè io “frusta quest’uomo a sangue!”. Io mi gettai su di lui e afferrando un frustino da cani che era sul tavolino da notte, lo colpii con tutta la forza della mia gelosia. Lo frustai a lungo. Ero più forte di lui e alla fine mia moglie ne ebbe pietà. Lo fece rivestire e lo congedò con un addio definitivo: “Non pensare di tornare, non ti farò frustare, ti farò inculare a sangue da mio marito!”.