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Uccellini

I grattacieli illuminati brillano come alberi di Natale. Sono stata invitata al Plaza per incontrarmi con degli amici ricchi. Il lusso mi culla, ma sono distesa in un soffice letto ammalata di noia, come un fiore in una serra. I miei piedi riposano su soffici tappeti. New York mi rende febbrile, grande città babilonese.
Vedo Lillian. Non l’amo più. Ci sono quelli che ballano e quelli che si aggrovigliano in nodi. Amo quelli che ondeggiano e danzano. Rivedrò Mary. Forse questa volta non sarò timida. Ricordo quando arrivò un giorno a Saint-Tropez e ci incontrammo casualmente in un caffè. La sera mi invitò a salire nella sua stanza.
Il mio amante, Marcel, quella notte doveva andare a casa; viveva molto lontano. Ero libera. Lo lasciai alle undici e andai a trovare Mary. Indossavo un vestito spagnolo di cotonina a balze e un fiore tra i capelli, ero tutta abbronzata dal sole e mi sentivo bella.
Quando arrivai, Mary era sdraiata sul letto, e si spalmava il viso, le gambe e le spalle di crema emolliente perché era rimasta tutto il giorno sulla spiaggia. Si stava mettendo la crema sul collo, sulla gola. Ne era tutta ricoperta.
Questo mi infastidì. Mi sedetti ai piedi del letto e parlammo. Non desideravo più baciarla. Stava scappando da suo marito. Lo aveva sposato solo per sentirsi protetta. Non aveva mai realmente amato gli uomini ma le donne. All’inizio del matrimonio, gli aveva raccontato tutta una serie di storie su di sé che non avrebbe dovuto raccontargli: di come era stata una ballerina a Broadway e di come aveva dormito con uomini quando era rimasta senza soldi; di come era anche andata in una casa di piacere per guadagnare; di come aveva incontrato un uomo che si era innamorato di lei e che era rimasto al suo fianco per alcuni anni. Suo marito non si era mai riavuto da queste storie. Avevano risvegliato in lui dubbi e gelosie, e la loro vita in comune era diventata intollerabile.
Il giorno dopo il nostro incontro, lei partì da Saint-Tropez, e io rimpiansi di non averla badata. Adesso stavo per vederla di nuovo.
A New York lasciai libere le mie ali di vanità e civetteria. Mary è più che mai amabile e sembra molto interessata a me. È tutta una curva, morbida. I suoi occhi sono larghi e languidi; le sue guance luminose. Ha le labbra piene; capelli biondi, folti. È lenta, passiva, letargica. Andiamo al cinema insieme. Nel buio mi prende la mano.
È stata analizzata e ha scoperto quello di cui mi ero accorta tanto tempo fa: non ha mai avuto un vero orgasmo, a trentaquattro anni, dopo una vita sessuale di cui solo un esperto contabile potrebbe tenere il conto. Sto scoprendo le sue pretese. Sorride sempre, felice, ma dentro si sente irreale, remota, staccata dall’esperienza. Agisce come se stesse dormendo Cerca di reagire alla facilità con la quale va a letto con chiunque glielo chieda.
Mary dice: “È molto difficile parlare di sesso, mi vergogno.” Non si vergogna proprio di niente, ma non riesce a parlarne. Con me può parlare. Restiamo sedute per delle ore in luoghi profumati dove c’è musica. Le piacciono i posti frequentati da attori.
C’è una corrente di attrazione tra noi, puramente fisica. Siamo sempre sul punto di andare a letto insieme. Ma la sera non è mai libera. Non mi farà mai incontrare suo marito. Ha paura che lo seduca.
Mi affascina perché la sensualità si riversa fuori di lei. A otto anni aveva già avuto un’esperienza omosessuale con una cugina più grande.
Dividiamo l’amore per l’eleganza, il profumo e il lusso. È così pigra, languida, proprio come una pianta. Non ho mai visto una donna più docile. Dice che aspetta sempre di trovare l’uomo che la ecciterà. Deve vivere in un’atmosfera sessuale anche quando non sente niente. È il suo clima. La sua affermazione favorita: “A quell’ora, ero in giro a dormire con tutti.”
Se parliamo di Parigi e di qualcuno che conosciamo là, dice sempre: “Non lo conosco. Non ho mai dormito con lui.” Oppure: “Oh, sì, era una meraviglia a letto.”
Non avevo mai sentito che avesse resistito a qualcuno, malgrado la frigidità! Delude tutti, compresa se stessa. È sempre così bagnata e aperta che gli uomini pensano sia costantemente in uno stato prossimo all’orgasmo. Ma non è vero. L’attrice in lei appare allegra e calma, ma dentro sta andando a pezzi. Beve, e dorme solo drogandosi. Viene sempre da me mangiando canditi, come una scolara. Dimostra vent’anni. Il suo cappotto è aperto, il cappello in mano. I capelli
sciolti.
Un giorno mi cade sul letto e si toglie le scarpe. Si guarda le gambe e dice: “Sono troppo grosse. Sono come delle gambe di Renoir, me lo hanno detto una volta a Parigi.”
“A me piacciono,” risposi, “le amo.”
“Ti piacciono le mie nuove calze?” Si tira su la gonna e me le fa vedere.
Mi chiede un whisky. Poi decide di fare un bagno. Le presto il mio kimono. So che sta cercando di tentarmi. Esce dal bagno ancora umida, con il kimono aperto. Le sue gambe sono sempre leggermente divaricate. Sembra proprio che stia per avere un orgasmo che nessuno può aiutarla ad avere: una sola piccola carezza la farebbe impazzire. Mentre si siede sul bordo del letto per mettersi le calze, mi accorgo di non potere più resistere. Mi inginocchio davanti a lei e le metto una mano tra i peli del pube. La massaggio piano, piano, e dico: “La piccola volpe argentata, la piccola volpe argentata. Così morbida e bella. Oh, Mary, non posso credere che non senti niente qui, dentro.”
Sembra sul punto di sentirmi, da come è la sua carne, aperta come un fiore, da come le sue gambe sono stese. La sua bocca è così bagnata, così invitante, immagino che le labbra del sesso siano lo stesso. Allarga le gambe e mi lascia guardare. La tocco delicatamente separandole le labbra per vedere se sono umide. Reagisce quando le tocco la clitoride, ma io voglio che raggiunga il massimo dell’orgasmo.
Le bacio la clitoride, ancora umida dal bagno, i peli pubici, ancora bagnati come alghe marine. Il suo sesso ha il gusto di una conchiglia, una meravigliosa, fresca, salmastra conchiglia. Oh, Mary! Le mie dita lavorano più velocemente, cade all’indietro sul letto, offrendomi tutto il suo sesso, aperto e bagnato, come una camelia, come petali di rosa, come velluto, come raso. È rosa e fresco, come se nessuno l’avesse mai toccato. È come il sesso di una bambina.
Le sue gambe sporgono dal letto. Il sesso è aperto. Posso morderlo dentro, baciarlo, infilarci la lingua. Lei non si muove. La piccola clitoride si indurisce come un capezzolo. La mia testa fra le sue gambe è persa in un delizioso vizio di morbidità, carne salmastra.
Le mie mani viaggiano verso i suoi seni pesanti, li accarezzano. Incomincia a gemere. Ora le sue mani scendono e si uniscono alle mie nell’accarezzare il suo sesso. Le piace essere toccata sulle labbra del sesso, al di sotto della clitoride. Le tocchiamo insieme. È lì che mi piacerebbe spingerci un pene e muoverlo fino a farla urlare di piacere. Metto la lingua nell’apertura e la spingo più profondamente possibile. Le prendo il culo tra le due mani, come un cocomero, e lo spingo in su, e mentre la mia lingua gioca sulle labbra del sesso, le mie dita premono la carne del culo, esplorandone la consistenza, le curve, e il mio indice sente la piccola apertura dell’ano e delicatamente d si spinge dentro.
All’improvviso Mary si accende, come se avessi inserito un contatto elettrico. Si muove come per risucchiarmi il dito. Lo spingo più a fondo, muovendo la lingua dentro il suo sesso. Comincia a gemere, a contorcersi.
Spingendosi in giù sente i colpi del mio dito, sollevandosi i colpi della lingua. Ogni suo movimento le fa sentire il mio ritmo accelerato, fino ad avere un lungo spasmo e cominciare a gemere come un piccione. Con il dito sento la palpitazione del piacere, una volta, due volte, tre, che pulsa con estasi.
Si lascia andare sul letto, affannata. “Oh, Mandra, cosa mi hai fatto, cosa mi hai fatto! ” Mi bacia, bevendo la mistura salmastra dalla mia bocca. I suoi seni sono contro di me mentre mi tiene, ripetendo: “Oh, Mandra, cosa mi hai fatto…”

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